La stretta di mano è vera, il sorriso sincero. Non c’è formalità, si respira stima e rispetto. E’ l’incontro amichevole e senza fronzoli della provincia che lavora. Dove il termine “provincia” non ha niente di dispregiativo. Sarri e Delneri, due modi diversi di vedere il calcio, due uomini di calcio. Quello del campo, quello del lavoro, quello che comincia dalla gavetta e che parte dai dilettanti. E’ stato così per il tecnico di Aquilea, riservato, dal tono di voce pagato e gentile, mai sopra le righe, autore del “miracolo Chievo” agli inizi del 2000, squadra rivelazione portata, nel primo anno di A, fino alla qualificazione in Coppa Uefa, attraverso un gioco vivace e frizzante. E’ ancora così per il tecnico parteno-toscano, che giunge nella grande piazza dopo aver abbondantemente superato i cinquanta e meraviglia il mondo dell’ Italia del pallone. Diretto, schietto, colorito nel linguaggio, capace di entrare nella testa dei suoi uomini, capace di farli muovere sul terreno di gioco secondo uno spartito dove mancano note stonate. Entrambi con il pregio di restare fedeli a se stessi, alla propria cultura del lavoro, alla propria personalità. In un universo pallonaro fatto di eccessi ed esagerazioni, di microfoni e prime pagine, loro ci finiscono malvolentieri. Preferiscono i campi, forse addirittura i campetti, quelli dove si può insegnare. Movimenti, sovrapposizioni, linee, inserimenti. Correggendo e continuando a riprovare, lavorando oggi e domani di più. Senza mettersi in evidenza, facendo in modo che quel campo tanto amato parli per loro. A voce bassa per l’uno, attraverso il fumo di una sigaretta per l’altro. Senza fuggire mai le proprie responsabilità. Merce rara, merce di provincia. La provincia fruttuosa, quella che lavora.
a cura di Gabriella Calabrese