Maurizio Sarri al Corriere: “Allenare il Napoli è bello e duro. Il talento di un calciatore non deve essere imprigionato dal modulo”

Ilnapolionline.com riporta l’intervista del tecnico del Napoli, Maurizio Sarri, rilasciata al Corriere dello Sport.

Il calcio si studia? Si impara anche sui testi, come la filosofia o la scienza? «Sì il calcio, come tutto, richiede analisi, pensiero, riflessione oltre all’esperienza vissuta. Io ho studiato molto. In particolare il lavoro e le innovazioni di Arrigo Sacchi che è stato un vero rivoluzionario del calcio, e per questo mi piaceva. Lui ha cambiato, in Italia, il modo di giocare. Io ho letto molto sulla tecnica e mi capita ancora di passare ore chiuso in una stanza a pensare ad uno schema, a come sfruttare nel modo migliore le palle inattive… Ma è un pensiero in movimento, non fisso. Io ho cambiato, nel senso di far evolvere, il mio modo di pensare calcio rispetto a dieci anni fa».

Cambiato in quale direzione? «Ero più rigido. Ero più portato a pensare che la tattica fosse un valore assoluto. Ora so che il bambino che c’è in ogni giocatore non va mai spento. Non va mai represso l’aspetto ludico, quello per il quale il calcio si chiama, appunto, gioco del calcio. Quando un giocatore si diverte rende il doppio, ed è uno spettacolo meraviglioso».

Quale è la novità che lei ritiene di aver portato nel calcio italiano? «Sarei un presuntuoso se le rispondessi, forse possono dirlo meglio altri. Io vengo dal basso e forse ho avuto meno condizionamenti, sono stato mentalmente più libero di inventare metodi, schemi e logiche mie».

Prandelli, nella intervista che mi ha rilasciato per il Corriere, sostiene che gli allenatori che hanno più rivoluzionato il calcio non sono stati grandi calciatori. Pensava a Sacchi, a Mourinho. Vale anche per lei? «Questo non lo so, lo dirà il tempo. Ma credo che Prandelli avesse ragione. Chi non è stato in squadre di livello, non ha conosciuto schemi e abitudini di grandi allenatori del passato, forse è più libero di inventare. Forse è persino costretto ad inventare qualcosa di nuovo. In definitiva è meno conservatore».

Qual è il giocatore con cui lei ha potuto parlare di più, starei per dire il più intelligente o il più colto che ha incontrato«Baiano aveva una velocità di pensiero impressionante. Reina è una persona speciale, davvero molto intelligente. In campo e fuori. Con Goretti, che giocava nel Perugia, si poteva parlare di tutto, anche di temi lontani dal calcio».

Lei legge molto? «Come le ho detto studio e consulto libri di calcio, come l’ultimo di Sacchi. Ma poi mi piace la letteratura. Ho fatto un percorso, sono partito da Bukowski, poi sono arrivato a John Fante e ora sto divorando Vargas Llosa, che mi piace molto. Leggo Erri De Luca e Maurizio de Giovanni, che mi aiuta a capire ancora meglio Napoli».

Com’è allenare a Napoli? «Bello e duro. Le sensazioni che ti può dare la tifoseria sono uniche, un calore spettacolare. Ma è un ambiente umorale, come è sempre stata questa città fatta di passioni e delusioni. O tutto è positivo o tutto è negativo. Io cerco di tenere il filo di una atmosfera in cui ogni tanto bisogna anche estraniarsi».

Quanto pesa l’emotività nel calcio italiano, quanto impedisce progetti innovativi che hanno bisogno di tempo? «Questa frenesia, per la quale un allenatore è un cretino se perde due partite o un genio se ne vince due e un attaccante una schiappa se sbaglia un rigore e un genio se fa un gol qualsiasi, rende molto difficile far vivere progetti e quindi far evolvere il calcio. I tre anni in cui sono stato ad Empoli sono riuscito a impostare un ciclo che ha dato dei buoni frutti. Non eravamo condizionati dall’ultimo risultato. Lo stesso spero di fare a Napoli dove ho trovato una società organizzata e un clima positivo. Il calcio o è un progetto o non è».

Quale è stato il momento più bello della sua carriera di allenatore? «Tutti pensano che sia la categoria a fare la gerarchia delle emozioni. Non è così. Qualsiasi campionato vinci, in qualsiasi serie o divisione, è il culmine di un anno di lavoro, di fatica, di condivisione con la squadra, lo staff, il magazziniere. Ogni campionato vinto è stata una gioia identica. Ma io brucio la felicità in trenta secondi, penso subito alla nuova sfida. Mi interessa più il dopo che il prima».

Cosa dice ai giocatori per preparare la partita? «Dipende da come percepisco lo spirito del gruppo. Se li vedo tesi, contratti, nervosi dico loro di divertirsi. Se vedo che affrontano una partita sottogamba cambio registro. La prima cosa è far prendere fiducia in se stessi e nel gruppo ai giocatori. La psicologia collettiva è importante come lo è seguire, senza intrusività, ogni atleta. Nella psicologia e nella concentrazione di un calciatore contano molti fattori, anche quelli extra calcistici. Un allenatore non è solo un tecnico è anche un uomo. E talvolta deve essere fratello, amico, padre».

Ha fatto così con Higuain? Sembra rinato, sereno e sicuro. «Si diverte. Io lo stimolo a divertirsi. È un fuoriclasse ed è potenzialmente il giocatore più forte che io abbia mai allenato».

La Redazione

BaianoHiguainSarri
Comments (0)
Add Comment