Forse non tutti lo sanno, ma a Napoli sono nati prima i tifosi e poi la società. Sì, perché quel primo agosto del 1926, all’esterno
del ristorante D’Angelo a via Aniello Falcone si radunò una piccola folla; attendeva l’esito della riunione in corso tra i dirigenti
Alla nuova società il neopresidente Ascarelli volle dare un nome italiano, e un simbolo che ricordasse la vittoria e la furia, un cavallino rampante; sui colori non ci furono dubbi, bastava guardare il cielo e il mare dalla terrazza del ristorante. Il cavallino diventò peraltro, alle prime sconfitte e dopo una lunga serie di infortuni, un ciuccio grazie all’ironia di uno di quegli stessi tifosi sugli spalti. E il ciuccio abbiamo seguito da allora, sommergendolo d’amore e di passione, senza mai interromperci, qualunque fosse la serie in cui il nostro Napoli militava e
Napoli sono fortemente unite. Si assomigliano e si integrano, identificandosi l’una nell’altra come da nessun’altra parte avviene.
Quel presidente non c’è più, come gli allenatori e i giocatori. Se ne sono avvicendati a centinaia da allora, lasciando segni e ricordi e sorrisi, alcuni senza tracce del loro passaggio, altri che ancora suscitano una lacrima o un sorriso al pensiero. Sono rimasti i tifosi, e rimarranno per sempre. I tifosi e la maglia, e quel simbolo nobile e testardo e un po’ cialtrone e simpatico e affettuoso, in fondo così simile al suo popolo. Siamo tifosi di quella squadra, e lo saremo per sempre. Che nessuno provi mai a dire che la
nostra passione si è interrotta ed è rinata sotto altro nome. Perché in quel caso non si spiegherebbe il motivo per il quale è stata rilevata a caro prezzo. Sarebbe bastato un de profundis, e fondarne un’altra. Non vi pare?
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