Parla Padovano: “Mai persa la fiducia nella giustizia”
L’ex attaccante italiano Padovano è tornato a parlare delle sue vicissitudini con un’intervista a Il Mattino: «Certo che l’ho vista la finale del Mondiale: quella sera, a Berlino, c’erano in campo tanti ex compagni e avversari». Quella sera, il 9 luglio 2006, Michele Padovano era in carcere a Bergamo. Era stato arrestato due mesi prima con l’accusa di essere un narcotrafficante. Un incubo, terminato con l’assoluzione dopo 17 anni e ricostruito dall’ex attaccante di Juve e Napoli nel libro “Tra la Champions e la libertà”, pubblicato da Cairo Editore.
Cosa lasciano 75 giorni di carcere e 17 anni di processi?
«Non ho mai perso la fiducia nella giustizia durante questo calvario. Ho avuto un sostegno fortissimo: quello della famiglia e degli avvocati Giacomo Francini e Michele Galasso. La famiglia ha sofferto con me, questa storia ci ha uniti ancora di più. Ma a mio figlio Denis è stata negata una serena adolescenza e mio padre è morto per questa vicenda giudiziaria terminata soltanto il 31 gennaio di un anno fa, quando arrivò la telefonata degli avvocati: Micky, è finita».
Dai compagni negli spogliatoi a quelli in un carcere, coi quali condivise le partite della Nazionale campione del mondo.
«Si, le vedemmo tutte. E, garantisco, non provai alcun sentimento di invidia nei confronti di chi indossava la maglia dell’Italia. I giorni in carcere non li ho dimenticati. Ho visto in quali condizioni terribili si vive là e vorrei fare qualcosa per aiutare chi è recluso».
Vialli le è stato sempre vicino.
«È morto pochi giorni prima della mia definitiva assoluzione. A Luca, mio compagno nella Juve, dedico tutti i giorni un pensiero perché non dimentico che telefonava a mia moglie dopo ogni colloquio in carcere per sapere come stavo e se avessi bisogno di qualcosa».