Come se bastasse un lettino, che però (e si vede) è necessario: «Perché il problema è mentale». Francesco Calzona se ne è stato – nel tempo “libero” – con il Napoli negli occhi e dopo averlo radiografato e vivisezionato e analizzato ha deciso: bisogna mettergli la testa a posto. La prima mossa, dunque, senza poter ricorrere a Freud, liberare i neuroni, orientarli nel suo calcio e comunque, a prescindere dagli schemi e dai moduli e dai sistemi, dargli aria. C’è stata talmente tanta pressione, nei sei mesi alle spalle, che il Napoli è imploso ed ha finito per fare il contrario di quello che gli aveva insegnato Spalletti, un mago del divertimento: invece qua, ad un certo punto, era diventata una tormentata ossessione, dal fischio d’inizio a quello finale.
E meno male che con il Barcellona, sarà stata la magia o magari no, semplicemente un ritocchino, la non-partita sia durata 75 minuti e il Napoli sia riemerso in quei 19 minuti (15 effettivi e 4 di recupero) in cui ha persino sospettato di potersi regalare un sorriso. «La condizione c’è e la reazione di quei 20 minuti è un indizio». Per fare una prova, direbbe Agatha Christie, serve ancora altro e Cagliari, tanto per (ri)cominciare, offre circostanze da cavalcare: non è banalmente una questione di formazione ma di interpretazione, bisognerà risistemare i cocci del passato in un angolo («resettare», cit.) e ripartire con la faccia tosta che Calzona ha invocato nell’intervallo, dopo 45 minuti pavidi.
IL CORAGGIO. Perché, e qui don Abbondio non c’entra, il coraggio poi può darselo chi ha dimostrato di averne in passato, non solo nei nove mesi travolgenti dello scudetto, ma anche nelle giornate tenebrose che pure sono state attraversate da una squadra che appartiene ad un tempo lungo. Calzona riparte dall’asse storico: Meret (6 anni e 162 partite, due miracoli per tacitare le malelingue con il Barcellona), Di Lorenzo (5 anni e 218 partite, inclusi quindici gol e una crisetta d’identità da combattere;
squalificato per il Cagliari), Lobotka (5 stagioni e 147 partite ad illuminare con quel calcio cerebrale) e, ovviamente, Osimhen e Kvaratskhelia, che si possono anche sostituire a partita in corso, in una scelta che può essere genialmente folle – o follemente geniale – ma che rappresentano l’architrave d’un calcio dal quale ripartire, senza aver paura poi di modificare in corsa. Però adesso, altrove, si entra nei ballottaggi, e Mario Rui sta bene e Traore e Lindstrom sono risorse, come Natan.
POSTURA. E però, al di là degli uomini, è l’atteggiamento che va mutato, com’è successo parzialmente contro il Barcellona dopo l’intervallo, come invece l’allenatore ha apprezzato dal momento dell’1-1 in poi: padronanza ed occupazione del campo, baricentro alto, capacità di riempire non solo la trequarti ma anche l’area avversaria e prudenza assai relativa, perché il Napoli abbonda in quella qualità che adesso va ostentata in campionato, tra Cagliari, Sassuolo e Juventus, le tre partite che in una settimana definiranno il destino. «Ho una squadra molto forte e questo mi fa essere felice. Ma a livello tattico va fatto un passo in avanti. Però lo spirito mi è piaciuto». La rivoluzione di Calzona in tre mosse: ordine, organizzazione e ostinazione.
Fonte: Corriere dello Sport