Perché va così, perché le Nazionali distraggono (i muscoli), perché non c’è mai un solo perché. Bergamo è ancora un punticino all’orizzonte, si perde in lontananza: ma quando il cronometro comincia a correre, il conto alla rovescia va ultimandosi e qualcosa bisogna pur dire. Almeno undici nomi, anzi di più. Walter Mazzarri è uscito da questa dimensione che pure gli è appartenuta per un bel po’ ma non è rimasto fuori dal mondo: e, semmai si fosse un attimo assentato, ha avuto modo di ritrovarsi in un quel frullatore che devasta l’anima. Per il momento, è tornato un po’ di Napoli – Kvaratskhelia, Ostigard, Lobotka e Cajuste – ma dopo le presentazioni, è già arrivato il momento delle riflessioni: Lindstrom glielo hanno annunciato ammaccato, né più e né meno di quanto lo sia Zielinski, e su Osimhen poi ci sarà modo di ritrovarsi a chiacchierare, perché val sempre la pena aspettare un uomo da trentuno gol.
SICURO. Si comincia dal basso, chissà se pure con la costruzione, e in porta ci andrà Gollini, che torna in casa sua – a Bergamo – e può rivedere la sua giovinezza, piena di promesse che a 28 anni non possono essere state abbandonate. Meret gli ha lasciato i guanti e anche il posto, si capirà più in là se potrà esserci con l’Inter, ma intanto le chiavi del Napoli sono nelle sue mani e bisognerà rispondere presente. E pure a sinistra, la “solita” fascia, c’è da orientare uno sguardo a mani giunte: senza Mario Rui, viene meno il ballottaggio, e Olivera può andarsene comodamente ad attaccare (e pure a difendere), sottolineando la mezza rivoluzione.
INCERTO. L’angina è semplicemente un fastidioso (grosso) che Piotr Zielinski ha dovuto affrontare in Nazionale: persa la prima sfida, con la rinuncia alle due partite, gliene ne restano altre, non meno rilevanti. Giocherà solo se sta bene, nel pieno delle sue forze, e c’è una speranza neanche così irrilevante di poterlo vedere in campo a Bergamo, al fianco di Anguissa e Lobotka, inteprete di un ruolo nel quale è un riferimento. Però le perplessità restano, non si possono negare, e sono in conflitto con l’ottimismo: direbbero quelli cauti, fifty-fifty, che in questo caso sta per si può fare.
OSA, OSI. La prova del nove, of course, riguarda Victor Osimhen, Sua Maestà, il centravanti che fa impazzire mezzo universo, l’uomo dei sogni capace anche da solo – a volte – di cambiarti una partita, uno che sa incidere come pochi (come quasi nessuno) e che però ha saltato le ultime sei – quattro di campionato e due di Champions – e che ha bisogno di essere valutato sino a venerdì mattina, il D-day. La maglia è pronta, gli schemi li ha osservati, ieri si è fatto un po’ di personalizzato tra campo e palestra (e non è mai una bella notizia) ma avendo un fisico bestiale, può permettersi anche di cominciare a rodare proprio mentre i motori del charter rullano sulla pista di Capodichino: mancano 48 ore al decollo, destinazione Gewiss Stadium, ex Azzurri d’Italia, c’è un sorriso qua e là, nonostante, siano cambiate tante cose, l’aria, gli schemi, pure i volti del Napoli, perché comunque ci sono tanti punti interrogativi sulle facce dello scudetto. Fonte: CdS