CdS – “La vera certezza della squadra è il talento che consente di tenere elevato il tasso realizzativo”
È cambiato tutto eppure non è cambiato assolutamente nulla: è passato un anno, e il Napoli è rimasto sostanzialmente eguale a se stesso, pur nella sua diversità, ha sottratto Lozano (30 gol in quattro anni), ha aggiunto Lindstrom (si fa per dire, sino ad ora), però è quello di sempre – da Benitez in poi, si potrebbe aggiungere – segna tanto, con chiunque, e può togliersi la polvere dalla spalla se il destino s’accanisce.
Sul palcoscenico ci salgono gli attori di questa primavera che, nonostante lo scudetto sia distante (ma non lontanissimo), ancora tiepidamente s’avverte: la Champions, ch’è racchiusa nel quarto posto o nell’atmosfera che si avverte nell’attesa dell’Union Berlino, porta con sé la magia di un tempo nuovo, da vivere, e per goderselo c’è bisogno sempre delle star.
Puoi togliere Osimhen, ed è capitato spesso, ma non c’è neanche la possibilità di imprecare al vento, che arriva una folata di Raspadori o imbattersi nell’espressione lieve del Cholito.
È un calcio che sa di Progetto, l’abusato sostantivo che nel calcio galleggia ovunque, persino nella disperazione, ma se Kvara vive un periodaccio – come nel suo primo mese di quest’anno – emerge dalla corsia opposta Politano oppure no, da uno Zielinski o da un Elmas, arriva il contributo necessario per non restare soffocati dagli equivoci, che pure restano. IL RE. Victor Osimhen ne ha fatti 31 nella passata stagione, un patrimonio sufficiente per diventare un uomo da 200 milioni di euro o giù di lì: quando s’è fatto male, com’era naturale che fosse, ha lasciato ombre e paure intorno a sé.
Ma il Napoli di Spalletti lo aveva dimostrato in abbondanza e quello di Garcia lo sta facendo a modo suo: esiste un mondo pure senza Osi, perché con un presunto falso nueve ci si può ribellare ai tackle della sfortuna. I 6 gol di Osimhen hanno un peso, però sono stati decisivi a Frosinone, per stappare la vittoria con il Sassuolo, e poi si sono persi nella normalità dei successi larghi su Udinese e Lecce o nel rimpianto della sconfitta con la Fiorentina. Raspadori ha intuito l’urgenza, s’è tolto di dosso quelle etichette un po’ retrò e ha bruciato le partite a modo suo: a Berlino, in una serata piena di niente, dopo un cenno d’intesa con Kvara l’ha messa dentro di sinistro, fulminante; con il Milan è andato di talento, tiro a giro su punizione; e a Salerno, di mestiere, centravanti autentico, che ruba lo spazio all’avversario e poi sistema la rasoiata alla giugulare. Nell’album, va aggiunta la prodezza di Marassi, luce per uscire dal tunnel, girata al volo e scossa. Fonte: CdS