Garcia/Conference: «Non è ancora la mia squadra ma ora dobbiamo battere la Fiorentina per blindarci tra le prime quattro»
Chi cerca, trova: e dopo nove partite, che messe assieme fanno 810 minuti (recuperi esclusi) ma anche 84 giorni di lavoro, Rudi Garcia sta inseguendo se stesso, la sintesi d’un lavoro che sta lì – a volte appaga, altre inquieta – e che va definito, completato, per abbellire il processo identitario. «Non è ancora il mio Napoli perché pur concedendo poco, essendo tra quelli che subiscono meno tiri, non riusciamo a concludere una gara con la porta inviolata, che pure aiuterebbe». La partita ideale, quella piena, è di sabato scorso, a Lecce: 0-4, e via sorridendo; oppure il 2-0 al Maradona con il Sassuolo, seconda di campionato, pare quasi una vita fa o semplicemente un caso; perché a Bologna, poi, nell’altra circostanza in cui Meret potè tornarsene a casa allegramente, almeno lui, lo 0-0 non fu sufficiente per saziarsi (ovviamente). Rudi Garcia sta scavando dentro se stesso per provare a scoprire tracce del Napoli che ha in testa, una squadra che fonda la propria natura (di chi ama correre in avanti) con quella del suo allenatore e non si tradisca invece indietreggiando (come sul gol di Bellingham); uomini che siano sempre reattivi, su quelle secondo palle così invitanti per talenti come Valverde, che spostano l’umore e anche il destino con una volée raccapricciante: «Non dovevamo lasciare spazio a Valverde. Alcuni dettagli vanno considerati al meglio contro queste grandi squadre».
NOTTE REAL. Perché poi, a (ri)pensarci bene, il Real è il tormento ma anche l’estasi di ritrovarsi in uno stadio pieno, che gronda entusiasmo e che alla fine, tra le pieghe d’una serata meravigliosa, deve portarsi appresso i rimpianti che gonfiano la strana anti-vigilia di Rudi Garcia, oratore di una conferenza stampa insolita ma sfruttata per tenersi il sabato libero ed andarsene ad allenare al Maradona. Un’altra notte Real, ecco cosa serve al Napoli per starsene in quella sua dimensione e scolpirla nel marmo e nella storia del calcio contemporaneo. «Questo club deve sempre partecipare alla Champions e noi dobbiamo vincere con la Fiorentina. Lo chiede la classifica, che in questo modo ci permetterebbe di blindarci tra le prime quattro; lo dice il valore degli avversari, che hanno i nostri stessi punti; lo dice il momento, visto che poi c’è la sosta ed è molto meglio chiudere con un successo, così togliamo anche i biscotti alla stampa…».
POLEMICHE. Lo dice lo status di una squadra che avendo appena stracciato un campionato, deve evitare di ritrovarsi a galleggiare a distanza insopportabile da se stessa (e dalle grandi); lo chiede, adesso, persino l’ambiente, che scopre un conflitto dialettico tra Garcia e Giuffredi, il manager di Mario Rui, del quale il club non sentiva l’esigenza. «Non sto qui a replicare ai procuratori che piangono. E poi ho parlato con Mario, che non condivide quelle parole». Ma per non chiuderla lì, ovviamente, l’agente ha sfruttato i social, che in questi tempi moderni ormai fanno testo e diventano comunicati stampa, per infiammare ulteriormente la serata: «Non ho intenzione di rispondere al signor Garcia ma ho il sacrosanto dovere di precisare che mai il mio assistito, Mario Rui, ha detto a lui di non condividere le mie parole».
OCCHIO. Napoli-Fiorentina sa di Champions, è un’ora e mezza che pesa, che vale (oro), che Garcia avvicina con la cautela che guarnisce la fiducia: «La Fiorentina ha qualità ed è forte offensivamente; è una squadra che ci somiglia ma noi cerchiamo la terza vittoria di fila. Dobbiamo mantenere il nostro livello, emerso anche con il Real. E spero che Lindstrom si avvicini ai noi, al nostro rendimento: è arrivato tardi, sta entrando negli schemi, può fare l’esterno o giocare a sostegno della punta. Ha bisogno di tempo ma io faccio di tutto per aiutarlo». È una ricerca continua.
Fonte: CdS