L’ex Albertino Bigon: «La sconfitta contro la Lazio è solo un passo falso: col tempo si arriverà al top»
L’allenatore dello scudetto del 1990
Per trentatré anni è stato l’ultimo, da qualche mese è diventato “soltanto” il secondo. La conquista dello scudetto è stata pareggiata da Spalletti, ma ciò che Alberto Bigon è stato in grado di realizzare alla guida del Napoli nel 1990 resterà sempre uno dei capitoli più gloriosi della storia del club. Oggi, a 75 anni, il calcio se lo gode da un’altra prospettiva: più distaccata, meno intensa, sempre lucidamente critica. In pochi, meglio di lui, possono prevedere se Rudi Garcia si potrà aggiungere a quella cerchia ristretta che oltre ai protagonisti già citati vede anche Ottavio Bianchi. «Non c’è dubbio che possa farcela anche il francese, perché la squadra ha tutte le armi per poter concorrere fino alla fine».
Quindi direbbe che il titolo è il reale obiettivo del Napoli?
«Restiamo equilibrati. Se ci voltiamo indietro, senza guardare troppo lontano, abbiamo ancora sotto gli occhi lo scorso campionato e le difficoltà attraversate dal Milan campione in carica. Per quanto risulti banale come espressione, ripetersi è sempre la parte più complessa e sarà così anche per gli azzurri».
Ha intravisto qualche differenza tra il Napoli di Spalletti e quello di Garcia finora?
«Non ho avuto l’opportunità di seguire interamente le tre sfide, quindi non mi sento in grado di esprimere appieno un giudizio. L’impressione è che con Frosinone e Sassuolo le prestazioni sono state molto autorevoli sia tatticamente sia negli aspetti tecnici, d’altronde l’identità non si perde in una settimana. Invece la Lazio ha fatto esattamente il contrario e anche questo fa parte del calcio».
È una sconfitta che fa suonare qualche campanello d’allarme?
«No, perché penso sia presto per formulare un certo tipo di giudizi. Inoltre, le prime due gare sono state positive e anche la terza, al netto del risultato finale, non mi è sembrata preoccupante. Si tratta semplicemente di un passo falso, che non può determinare un momento o la condizione di una squadra».
Avendo perso Kim e acquistato Natan, il Napoli si è indebolito?
«Se dobbiamo discutere in termini di valore assoluto della linea difensiva, rispondo di sì, non posso che essere d’accordo. Ma anche l’anno scorso si faceva esattamente lo stesso discorso, quando il sudcoreano fu preso per sostituire Koulibaly e poi abbiamo visto com’è andata. Quindi, diamo tempo all’allenatore e al nuovo arrivato di inserirsi a dovere, così da capire esattamente la qualità del reparto e prendere le misure».
Osimhen si riconfermerà ai livelli della passata stagione?
«Non ho perplessità in proposito, è un calciatore molto particolare con doti enormi. Combina caratteristiche fisiche e tecniche in modo unico».
Vale un ingaggio da 10 milioni di euro all’anno?
«Non mi parli di soldi: non sono mai stato bravo in materia. Di certo, è una cifra che va contestualizzata in base al campionato: in Italia ha un valore, in Inghilterra ne ha un altro e in Arabia Saudita un altro ancora. Sarebbero sicuramente tanti per un calciatore di Serie A, ma se non li prende lui…».
Come si spiega l’astinenza così prolungata di Kvaratskhelia?
«Non si tratta assolutamente di un caso. Ormai lo conoscono tutti, soprattutto gli allenatori avversari. È sempre il primo ad essere raddoppiato, cosa che all’inizio non accadeva. Ritengo sia questa la chiave più giusta per spiegare un simile digiuno».
Le piace Raspadori impiegato da esterno offensivo?
«Ha le qualità per ricoprire anche quel ruolo, tuttavia mi sbilancio nel dire che preferisce senz’altro giocare al centro dell’attacco. Mi immedesimo perché ricorda tanto com’ero io all’epoca: non proprio un falso centravanti ma un attaccante di manovra, che sa giocare lontano dall’area di rigore».
Fonte: Gazzetta