È v ero: tutto è relativo. E 3219 minuti sono niente nella vita d’ognuno: ma incastrandoli in un recinto definito, otto mesi, e riempiendoli di saliscendi su una fascia, quella di destra, diventano un’impresa o semmai un sacrificio. E’ fatica che si accumula alla fatica, acido lattico che scorre dentro di sé, è stress o appannamento o qualcosa che ghermisce i muscoli: in sintesi è Stachanov o Robocop o un uomo bionico, all’anagrafe Giovanni Di Lorenzo. Mentre il mondo gira intorno ad un palla, lui ne rincorre una, dieci, cento, e poi accelera o rallenta, va di diagonale o dentro al campo, fa il difensore, il centrocampista e persino l’attaccante, stracciando i cronometri, che non gli mettono fretta ma neanche gliene tolgono.
C’è un uomo solo al comando di queste statistiche che, come Grandi Fratelli, ti entrano nell’anima e pure nel tachimetro, perché poi ci sarebbe altro, tutto ciò ch’è stato percorso nella magia di questa stagione, per lasciarsi alle spalle ostilità e diffidenza. Però questa è tutta un’altra storia, che adesso affoga nelle lacrime di sudore di chi non si è mai tirato indietro, semmai ha trascinato gli altri a rendere sublime un anno teoricamente di transizione.
A TUTTO GAS. La classifica della fatica è la fotografia parziale d’una squadra prossima alla perfezione, ricca di valori pure umani, priva di gelosie e di insofferenza, empatica e coraggiosamente proiettata nella gloria attraverso il sacrificio di chiunque: Kim Min-jae, nel suo rigore, ci ha infilato 3096 d’atletismo, solo 4′ in più di Lobotka, che in altezza e per fisicità gli è distante, ma che in realtà è prossimo a quel corazziere con il quale forma un tandem di sorprendente vitalità. Il Napoli è andato a mille all’ora, magari anche di più, ha scavato distanze siderali tra sé e quel macro universo che sta tentando di frenarlo, s’è goduto un Anguissa da spettacolo (2831), un Kvara delle meraviglie (2361) e si è persino potuto permettere d’accontentarsi che Osimhen (2267) fosse il nono in questa graduatoria sintetica e però sufficiente per costruirsi uno spaccato.
TURNOVER. Questo è un Napoli che il turnover se lo è spalmato a modo suo, lasciando che Spalletti – il proprio stratega – interpretasse nella modernità i cinque cambi; questo è un Napoli che ha cambiato pochissimo eppure tanto, s’è spogliato di sé a partita in corso, in realtà ha quindici titolari oltre i 1000′ e ne avrebbe sedici se Raspadori non fosse stato costretto ad arrendersi, almeno sino a Lecce, per un periodo più o meno lungo che gli ha sottratto opportunità ed anche quell’allegria che potrebbe ritrovare in Via del Mare, dove l’aria fa bene ai giovani.
IL TOUR. Poi ci sarebbero (anzi, ci sono) le nazionali, lo “straordinario” che va a referto ma che viene letto con distacco, i viaggi in aereo, i fusi orari, le differenti alimentazioni, pure le sedute d’allenamento diverse, quelle cosiddette pause che in realtà sono l’esatto contrario, un accumulo di impegni per le gambe e per la testa che qualcosa (o persino parecchio) finiscono per togliere: e sembrano dettagli, però lasciano il segno, e con il Milan s’è visto, l’aveva già lasciato intuire Kim. Ma gli Stachanov resistono, non hanno paura e men che meno stanchezza: non hanno ancora cominciato a vincere, come potrebbero?
Fonte: CDS
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