Raspadori ai microfoni del Cds: “Scudetto? Ci pensiamo ma non è un’ossessione. A Napoli per merito di due persone”

L'ex del Sassuolo parla anche della Nazionale di Mancini

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Lui è il buono, si legge nello sguardo da bravo ragazzo, e poi chissà dove saranno il brutto e il cattivo, semmai ne esistono. Lui è il calcio che sa di poesia, recitato fissando intorno a sé per diffondere quasi un senso di magia. Lui è quell’omino che si staglia all’orizzonte, a suo modo sa di Grande Bellezza, d’eleganza, di gesti (quasi) bianchi che addolciscono. Lui è un tocco di cipria sulle guance arrossate del nostro calcio che ha visto i Mondiali dal divano ed ha imprecato al vento, lasciandosi asciugare le lacrime. Lui è Paolo Rossi, macché, è Mertens, eppure pare persino Griezmann: una faticaccia essere se stesso e provare a diventare Giacomo Raspadori. E sarà quel che sarà, magari un Principe Azzurro, in questa favola allestita a Napoli.

 

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Cosa vedono gli occhi di un ventunenne che si chiama Jack Raspadori? «Sognano ma non troppo, perché i miei genitori hanno insegnato a noi figli a restare equilibrati, finché si può. Però a questa età è anche legittimo lasciarsi andare un attimo, seppur con moderazione».

Si sveglia e sente gli odori di Napoli, vede il mare che ha voluto. «È stata una mia scelta precisa, sollecitato da ciò che mi dicevano Giuntoli e Spalletti: se mi passa la battuta, mi misero in mezzo, ero felicemente frastornato dalle loro parole, coglievo la fiducia. Non potevo sbagliarmi, non mi sono sbagliato».

Non le chiederemo se è un ragazzo felice. «Penso che si veda, eppure io ho già ricevuto e tanto dalla mia vita. Sono stato un adolescente che è stato guidato per mano dalla mamma e dal papà, la loro educazione, ricca di valori, rappresenta un bene. E calcisticamente mi è andata di lusso».

A modo suo, un talento precoce: debutta a diciannove anni in Serie A; a ventuno, De Zerbi le affida il ruolo di capitano del Sassuolo e poi diventa campione d’Europa. «E adesso sono al Napoli».

Tutto troppo in fretta? «Non saprei, non sta a me dirlo. Io ci ho messo la passione, gli altri il rischio. Il giorno in cui mi ritrovai la fascia al braccio, prima della partita con la Roma, fu un’emozione e se mi fermo a riflettere, deve avere un gran bel coraggio De Zerbi: vero che mancavano Berardi, Magnanelli e Ferrari e vero anche che, volendo scherzare, essendo arrivato al Sassuolo da bambino ero il più anziano del gruppo, ma rimanevo un giovanotto alle prime armi».

All’Europeo ha scoperto il brivido del trionfo. «Qualcosa di inimmaginabile. La forza di un gruppo fantastico, come questo del Napoli. Una sintonia che ha rappresentato la forza e un ct, Mancini, che ha saputo osare».

Ma dall’estasi al tormento è stato un attimo. «La ferita del Mondiale è ancora aperta, non si è rimarginata, anche se adesso è tutto finito. Ma durante questo mese, mentre vedevo le partite degli altri, la sofferenza l’avvertivo».

La Nazionale cerca un centravanti, l’avrà capito: Immobile va per i 33… «E però continua a segnare. Ma è chiaro che le ragioni anagrafiche non vanno ignorate. C’è una buona generazione che deve dare risposte, il futuro è nelle nostre mani».

Prima punta, esterno, sottopunta e ora anche mezzala alla Griezmann: sveli il gradimento. «Nasco centravanti ma mi sta bene essere coinvolto, ritrovarmi dentro al campo, quindi mi vedo anche alle spalle di un attaccante. Ma l’evoluzione del calcio è secca, repentina, io sto qua per imparare e ne ho voglia».

Se vede trenta milioni di euro su un tavolo cosa fa? «Se lei si riferisce alla cifra spesa dal Napoli per acquistarmi, non mi spavento. Conosco ormai le dinamiche del mercato, so che può succedere – e con me è capitato – e che ci sono anche somme più rilevanti a definire certe operazioni. Fa parte del gioco. E stupirmi non avrebbe senso. Anzi, quasi quasi le dico che sono orgoglioso».

 

Già che ci siamo, dica anche altro: quante volte pensa allo scudetto? «Sarei un bugiardo se fingessi distacco. Ma non è un’ossessione. È l’obiettivo per il quale lavoriamo, ma senza stress. Però ci credo: per conquistarlo servirà l’impegno di questi tre mesi e la capacità di dimostrare che l’abbiamo meritato. Le qualità del Napoli, finora, sono emerse».

In realtà, e pare quasi un’esagerazione, siete in corsa su tutti i fronti che, messi assieme, formano un triplete. «Non ci poniamo limiti ma non abbiamo presunzione. Per questioni così grosse, si vive alla giornata. Siamo arrivati agli ottavi con risultati straordinari».

La prima notte di Champions cosa le passò per la testa? «Ch’era pazzesco quel clima, quell’atmosfera, quella magia. Che non c’è niente di più bello – ecco, forse il Mondiale, l’Europeo, le Olimpiadi – e che esserne protagonista mi stava realizzando».

Per diventare campione d’Italia dovrà liberarsi dell’Inter, la sua squadra da bambino. «Mio fratello maggiore tifava Milan e io misi il derby dentro casa. Sarà difficile, inevitabilmente, ma ci sono anche il Milan, che mi sembra quella maggiormente in grado di farci paura, e la Juventus, che sta tornando. Quegli otto punti ci mettono in condizione privilegiata, sempre meglio stare avanti che inseguire, ma è chiaro che non ci può sentire al sicuro. Il campionato comincia adesso, però noi abbiamo otto punti di vantaggio».

E come la mettiamo? «È la dura legge dei grandi club, va in campo chi merita e chi sta fuori cerca di afferrare le occasioni che capitano. È la sana concorrenza, forse pure uno dei segreti per migliorarsi. Ed è la dimostrazione che stanno venendo fuori attaccanti destinati a dominare il palcoscenico internazionale per il prossimo decennio: Victor sta per compiere ventiquattro anni; il norvegese ne ha ventidue e mezzo; e Alvarez ne farà ventitré tra un mese. E aggiungeteci Mbappé: ventiquattro oggi».

Messi ce l’ha fatta. «Sarebbe stata un’ingiustizia se nella sua carriera e nella sua bacheca non ci fosse stato un Mondiale. Stiamo parlando d’un fenomeno. Io e i miei coetanei siamo venuti su, ovviamente, nel mito di Leo e stavolta la sorte ha riparato ad un errore».

Non le chiederemo Messi o CR7, Messi o Mbappé, ci è chiaro. Ma, domanda carogna, Messi o Maradona?
«Potrei cavarmela dicendo che io Diego non l’ho vissuto ma sarebbe una furbata. Chi vive di calcio è obbligato a sapere, a conoscere, ad informarsi. Diego è stato il Genio e comunque se stai a Napoli ti rendi conto di cosa abbia significato Maradona per questa città».

Argentina campione: le va bene così? «Erano in tante a giocarsela e la Francia – che ha perso ai rigori – vivrà nell’incubo per un po’. Però mi sembra che il titolo sia andato a chi lo ha meritato di più, reagendo alla sconfitta alla prima gara e poi imponendosi con quel meraviglioso fuoriclasse che è Messi».

In Italia, in Nazionale, il re del gol è sempre e ancora Gigi Riva: 35 reti in 42 partite. «Un’eredità inarrivabile a quanto pare e non so quali possano essere le cause. Forse, mi viene da pensare, una concorrenza spietata nei decenni, che ha sottratto la possibilità ai vari pretendenti di poter avere una continuità nel rendimento. Certo, riflettendo: trentacinque gol in quarantadue partite…».

De Zerbi, Dionisi, Spalletti…. «Devo a ognuno di loro qualcosa: mi hanno introdotto nel calcio con delicatezza, evitandomi qualsiasi forma di tensione. Non era semplice, perché De Zerbi mi ha fatto debuttare, Dionisi ha puntato si di me e Spalletti addirittura ha investito. Non posso che essere grato per questa stima così tangibile».

Scelga il suo gol più bello. «Forse quello di testa, all’Ajax, in Olanda, quasi contro la mia natura. O magari quello in Nazionale all’Inghilterra».

Dal 10 al 26 settembre, due settimane folli. «Gol al Maradona contro lo Spezia; poi a Glasgow e a seguire con la Nazionale al Meazza, a Budapest alla Puskas Arena e ad Amsterdam nello stadio intitolato a Crujff».

Sembrano quasi messaggi evocativi. «Il destino mi ha voluto a Napoli ed io non posso che esserne fiero. Era un’occasione da cogliere per me, perché io ho avuto modo di crescere guardando il Napoli di Sarri, impressionato sostanzialmente dalla natura stessa di un club che ha sempre avuto una filosofia diretta con lo spettacolo. Sa che io mi ci vedevo dentro questa squadra?».

 

Fonte: CdS

 

 

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