Kvara, intervista al papà Badri: «Il mio bambino eroe di Napoli e di tutta la Georgia»

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È una questione di Dna. Perché nelle vene della famiglia Kvaratskhelia non scorrono globuli rossi, ma rotolano palloni. Oggi tutti conoscono Khvicha, stella del Napoli, ma prima di lui in Georgia gli occhi e le attenzioni erano focalizzate su suo padre Badri, bomber della nazionale e capocannoniere del campionato. A sua volta, anche suo padre Mamia – nonno di Khvicha – era un calciatore di fama. Oggi Badri si gode il figlio e, quando cammina per le strade di Tiblisi, lo fermano tutti perché è il papà del giovane Khvicha, non per i suoi trascorsi.

 

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Che effetto le fa avere un figlio così famoso?
«Sono il padre più felice di tutta la Georgia. Le gesta di Khvicha oramai fanno il giro del mondo. È la personalità più importante e influente di tutta la Georgia. Basti pensare che ora tutti tifano per il Napoli e tutti sanno a memoria il calendario delle gare degli azzurri. E, considerando come viveva il calcio la Georgia ultimamente, è qualcosa di incredibile»

 

Ovvero?
«Nell’ultimo decennio tutti si erano disinteressati al calcio. Non si viveva più questo sport con la passione di prima. Poi è arrivato mio figlio e ora tutti sono impazziti per il calcio, per la nazionale e per il Napoli: Khvicha ha riacceso la scintilla».

Cosa ha pensato quando è arrivata la chiamata del Napoli?
«Ero al settimo cielo. In Georgia tutti amavano e amano Maradona, quindi pensare a mio figlio con la maglia della squadra di Diego, in quella città e nello stadio a lui intitolato, era un sogno che si realizzava. Per noi è stato un orgoglio vedere per le strade di Napoli la maglia di Maradona esposta accanto a quelle di mio figlio».

Di recente suo figlio è stato vittima di un furto in casa: ora come sta?
«Una cosa passata. Ora lui è tranquillo, è concentrato sul campo e pensa solo a giocare con il Napoli».

Qual è stato il suo rapporto con il calcio?
«Sono nato in un piccolo villaggio della Georgia e mio padre era già un calciatore molto famoso, specializzato nelle rovesciate. Quindi per me iniziare a giocare è stato quasi naturale. A 15 anni ho fatto l’esordio nel campionato georgiano e per 20 stagioni sono stato un calciatore professionista segnando circa 200 reti».

Insomma, attaccante come suo figlio…
«In realtà ho iniziato da difensore. Il mio primo allenatore mi faceva giocare là dietro. Ma segnavo sempre più gol di tutti».

La sua principale caratteristica?
«Sicuramente il tiro: potente e preciso. Ma in assoluto ero un giocatore molto brillante».

Rivede qualcosa di lei nelle giocate di suo figlio?
«Lui ha altre qualità, ma gli ho sempre riconosciuto un grandissimo senso del dovere».

Che bambino era il piccolo Khvicha?
«Quando ha iniziato a giocare a Tiblisi io facevo ancora il calciatore professionista ed ero in Azerbaigian, così è stata la madre Maka a prendersi cura di lui. Sapevo che giocava, ma non l’ho mai spinto a diventare un calciatore. Mia moglie mi diceva che era un fanatico del lavoro. Era molto tecnico, è vero, ma soprattutto era un grande lavoratore. Perfino i vicini di casa mi dicevano: Deve giocare a calcio».

Perché?
«Quando tornava dalla scuola faceva subito i compiti e poi iniziava a giocare in un piccolo campetto sotto casa: tutti lo ammiravano».

E lei che consigli gli ha dato?
«In realtà nessuno. O almeno, nessuno dal punto di vista tecnico. L’ho sempre lasciato libero, purché si impegnasse. Quando ho capito che gli piaceva per davvero, poi, ho fatto il possibile per aiutarlo ma senza mettergli pressione. Volevo che stesse bene e crescesse sano. Se vuoi giocare: devi fare il massimo, gli ripetevo ogni giorno».

E alla fine ce l’ha fatta.
«Fino a qualche tempo fa tutti mi fermavano per strada e mi riconoscevano perché ero Badri, uno dei giocatori più famosi di Georgia. Ora mi fermano perché sono il papà di Khvicha». 

 

Fonte: Il Mattino

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