LUCIANO SPALLETTI – Gli allenatori hanno il «dovere» di governare situazioni a volte scabrose e Napoli ad agosto se ne stava a bruciare nelle proprie perplessità, in quell’atmosfera cupa che pareva dissolvere il passato: Spalletti s’è tuffato nell’operazione rinnovamento a braccia nude, ha manipolato con cura ciò che AdL e Giuntoli gli hanno offerto, ha studiato con loro la restaurazione e l’ha protetta con quell’aria sofferente che gli è valsa l’etichetta da attore, poi è salito sul palcoscenico – standosene sempre un filo dietro al sipario – ed ha provveduto: il «professor» Mario Rui è diventato l’interprete autorevole delle due fasi della corsia di sinistra; Lobotka è divenuto l’illuminato terapeuta della resurrezione; Anguissa ha scoperto di poter essere il collante degli equilibri, offrendo ampiezza;
Zielinski si è riappropriato del proprio talento; e in attacco, avendone in abbondanza, ha provveduto ad esibire la rotazione per un part-time rigenerativo nel quale combinare l’atletismo di Osi o la raffinatezza di Raspadori o i blitz di Lozano e di Politano o la quint’essenza del bomber che è in Simeone con l’esaltante signorilità di Kvara, l’intoccabile per ragioni di cuore calcistico, non solo di scherma.
Fonte: CdS