Sessant’anni fa era in quel Napoli che vinse il primo trofeo della sua storia. Gigi Simoni da Crevalcore – classe 1939, centrocampista, mandato dal Mantova giù al Sud per fare esperienza – collezionò una manciata di presenze nella squadra allenata dal Petisso Pesaola che vinse la Coppa Italia, unico club di serie B ad avere centrato questo obiettivo. Una coppa di cui era molto orgoglioso, quasi come delle 8 promozioni conquistate da allenatore, compresa quella con la Cremonese nel 1993. Da questa squadra il signor Gigi – scomparso a 81 anni nella primavera 2020 dopo undici mesi di agonia per un’emorragia cerebrale – avrebbe spiccato il volo verso il grande calcio che gli era stato precedentemente negato. Aveva fatto soltanto una tappa alla Lazio, che però era in serie B: a Roma strinse una forte amicizia con Claudio Baglioni, che gli regalò un ciondolo, quando cambiò squadra, su cui vi era scritto Per un amico che partendo non se ne va. Nel 1996 Simoni lasciò Cremona per il Napoli e gli sembrò di toccare il cielo con un dito: non c’era più Diego ma il cuore della città batteva sempre forte per gi azzurri.
La bella e intensa storia di quest’allenatore galantuomo – 17 squadre guidate dalla C alla A – è stata raccontata dal protagonista nel libro Simoni si nasce. Mai titolo più azzeccato per un vero signore della panchina che ebbe un solo vero scatto d’ira, quando guidava l’Inter: chi ha dimenticato quel si vergogni urlato all’arbitro livornese Ceccarini che aveva negato a Torino un solare rigore per il fallo dello juventino Iuliano su Ronaldo nella sfida scudetto del 98? Simoni riuscì comunque a vincere un trofeo con i nerazzurri: poche settimane dopo il fattaccio di Torino conquistò la Coppa Uefa, primo titolo per il presidente Moratti che lo avrebbe tuttavia licenziato all’inizio della successiva stagione perché la piazza rumoreggiava. Un esonero lo aveva subito anche nella prima apparizione a Napoli, stagione 96-97. Simoni, alla fine del girone d’andata, era ai vertici del campionato, poi la flessione coincisa con l’incontro con Moratti che gli proponeva di guidare l’Inter nella successiva stagione. Il Napoli decise di esonerare Gigi e Ferlaino, il proprietario del club, confessò a distanza di tempo il suo dispiacere perché all’allenatore era umanamente legato. I punti di riferimento di quello spogliatoio erano il portiere Taglialatela e il capitano Bordin. E poi c’era il fedelissimo Colonnese. Gigi sarebbe tornato a Napoli nel 2003, accettando la complessa sfida in serie B proposta dal presidente Naldi e dal ds Perinetti. Complessa, più che per i problemi tecnici, per la crisi societaria che avrebbe portato il club al fallimento. I giocatori andavano in campo e pensavano agli stipendi che non arrivavano, Simoni riuscì a raggiungere con fatica la salvezza.
Il signor Gigi avrebbe chiuso nel 2016 la sua lunghissima storia calcistica, durata 55 anni, a Cremona ma con un altro ruolo: presidente del club grigiorosso a cui aveva regalato una promozione, tre anni in A e il trofeo Anglo-italiano, conquistato a Wembley. Era la Cremonese dei talenti scovati dal presidente Luzzara e dal ds Favalli e valorizzati da Simoni. La vita si svolgeva tra lo Zini, dove il Napoli torna oggi dopo 26 anni, e l’hotel Continental, a duecento metri dallo stadio. A Cremona rimasero così affezionati a quel campione di umanità da votarlo come allenatore del secolo della squadra. A Napoli il maestro con 1126 panchine in carriera lasciò un pezzo del suo cuore, come hanno ricordato la moglie Monica Fontani e il figlio Leonardo, che il vice presidente dell’Inter Zanetti ha voluto come osservatore del club. Perché Simoni si nasce e signori si resta.