M. Santopietro: “Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”

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I rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli” (Diego Armando Maradona)

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Di “rigore”, s’impone la citazione del bellissimo brano “La leva calcistica della classe 68”, per adattarlo ai cannonieri azzurri che nei recenti campionati si sono succeduti, fallendo il tiro dagli undici metri tante volte, così com’è capitato in queste prime due partite di Champions, che ha visto Osimhen e Zielinsky sciupare il 50% delle occasioni dal dischetto, non compromettendo le abilità tecniche e caratteriali decantate appunto, da De Gregori. Per farci un’idea, prendiamo le rispettive percentuali di errori di altri importanti giocatori, quali: Hamsik, che ha sbagliato il 57% dei tiri; Cavani, il 60%; e Higuaìn, quasi il 70% . Percentuali molte alte, per essere rigoristi. La domanda “sorge spontanea”: perché calciatori tecnicamente forti, sbagliano così tanto? Appare allora evidente che il controllo delle

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emozioni diventi il fattore decisivo nell’esecuzione della specifica performance tecnica: l’entità del significato attribuito all’evento (il rigore), aumenta l’aspettativa positiva (il desiderio di segnare) che incrementa a sua volta, ma in modo disfunzionale, l’attività di alcuni parametri fisiologici quali la postura (approccio fisico alla battuta); la tensione muscolare (contrazione muscolare da dosare), l’attenzione (lucidità decisionale: dove indirizzo il pallone? come lo tiro? faccio la finta?); il ritmo respiratorio (indicatore del senso soggettivo di sicurezza/insicurezza), che nell’insieme si configurano stress emozionale, il cui effetto esercita effetti distorsivi nell’esecuzione concreta del gesto tecnico. La seconda domanda diventa la seguente: ci si può allenare a non sbagliare? Sì, ma non solo calciando i rigori in allenamento che, venendo a mancare il pathos della partita ufficiale, non educa il rigorista ad affrontare lo stress emotivo. Come psicoterapeuta consiglierei esperienze mirate come, ad esempio, “i sogni di giorni” o “fantasie guidate” in cui il rigorista, una volta “impostato” nell’apposito setting terapeutico, è indotto a immaginare tutte le componenti presenti nella “realtà vera” e, in particolare, le proprie reazione psicofisiologiche legate all’evento, per modificarle di volta in volta e renderle più funzionali, come si fa per contrastare le “situazioni fobiche”. Non è la certificazione assoluta di non sbagliare più i rigori ma, con molta probabilità, si diventa più abili e più sicuri nel tirare, anche in risposta a eventuali errori. Zielinski, ad esempio, ha mostrato sì carattere nel tirarli uno dietro l’altro, ma ha preteso di sfidare se stesso e il portiere scegliendo lo stesso piede (destro, ma lui è sinistro naturale), lo stesso angolo e la stessa potenza d’esecuzione: non ha “percepito”, in questo specifico caso, il suo “limite”. E, per superare il limite, bisogna prima riconoscerlo e poi accettarlo.

A cura di Maurizio Santopietro

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