Il Mattino – Quel doppio trionfo: lo scudetto che fu uno schiaffo al Milan

0
Il finale di quel campionato fu probabilmente il più velenoso visto nella storia della serie A. E questo perché il Milan si sentì truffato, come con tanto livore (e tanta imprecisione) dice ancora Arrigo Sacchi, avversario del Napoli di Maradona per lo scudetto. Due anni prima aveva vinto lui, anche grazie al crollo degli azzurri. Stavolta fece festa Napoli e non soltanto grazie a quella moneta che aveva colpito Alemao l’8 aprile a Bergamo, obbligando – in base alle norme federali in vigore all’epoca – la giustizia sportiva a modificare lo 0-0 del campo in vittoria per 2-0 della squadra allenata da Albertino Bigon, ex rossonero. La classifica – questo fingono di dimenticare Sacchi e alcuni suoi giocatori che a distanza di 32 anni continuano a sprizzare veleno – avrebbe comunque consentito al Napoli di vincere lo scudetto: il vantaggio sarebbe stato di un punto anziché due.

Factory della Comunicazione

FESTA ANNUNCIATA
Tutto si decise più il 22 aprile, penultima giornata, che il 29, trentaquattresima gara in calendario. Il Napoli vinse a Bologna, davanti a oltre trentamila tifosi arrivati da qualsiasi punto d’Italia e d’Europa, mentre il Milan crollò a Verona, addirittura chiudendo la partita con Sacchi e tre suoi giocatori espulsi. E uno di essi sputò sulla divisa dell’arbitro Lo Bello, che nel clan milanista veniva etichettato come simpatizzante del Napoli. Fu una festa annunciata, quella del 29 aprile al San Paolo, conclusa con la vittoria sulla Lazio firmata dal colpo di testa di un difensore, Baroni, oggi allenatore del Lecce che poche settimane fa ha conquistato un prezioso punto contro la squadra di Spalletti. Napoli esplose di una felicità diversa rispetto alla festa dello scudetto 87. Perché in quel 10 maggio c’era soltanto una pazza gioia dopo sessantun anni di attesa. Due anni dopo anche la soddisfazione di avere vinto una battaglia legale, politica e mediatica con il Milan e Berlusconi. Non soltanto calcio, dunque. Un bellissimo sfizio. Come ricorda l’ex presidente Ferlaino nelle sue interviste, si erano creati due poli televisivi: Fininvest ovviamente a sostegno delle testi berlusconiane sull’ingiustizia commessa ai danni del Milan con l’assegnazione del 2-0 al Napoli per i fatti di Bergamo; Rai al fianco del club di Maradona perché al vertice c’era Biagio Agnes, avellinese e tifoso del Napoli. «Un nostro grande amico», tuttora sottolinea Ferlaino.
LO SFIZIO
E non fu casuale, lunedì 30 aprile, quel titolo del Mattino: Più sofferto ma che sfizio. Lo sfizio di aver battuto anche fuori dal campo il potente Milan di Berlusconi. Sul presidente e sui suoi uomini venne scaricata tanta ironia, non soltanto con scritte su striscioni che apparvero in tutti gli angoli della città. Sulle bancarelle misero in vendita boccette con le lacrime di Ramaccioni, il team manager del Milan che portava in tv le lamentele della società: andarono a ruba. Romolo Acampora spiegò sul Mattino cosa era lo stile Berlusconi. Il Cavaliere aveva comprato calciatori senza risparmio perché «tanto acquisti e cessioni sono scaricati sul bilancio del gruppo». Ma non fu possibile per il Milan rivincere lo scudetto in quella primavera del 90 «per ingordigia: il crollo di una filosofia più che la sconfitta di una squadra». Mentre Ferlaino aveva vinto perché «era riuscito a resistere alle pressioni dell’Italia intera e della Napoli meno visceralmente tifosa che l’invitavano a disfarsi di Maradona». Sarebbe accaduto meno di un anno dopo, quando nella sede di piazza dei Martiri arrivò la comunicazione del Coni: Diego positivo al controllo antidoping del 14 marzo 91, cocaina. Fine dell’avventura napoletana. Fine del sogno.
LA FESTA
La festa iniziò negli spogliatoi, balli e champagne come tre anni prima. Ferlaino, intervistato da Maradona (gli aveva ceduto ancora una volta il microfono l’indimenticabile inviato della Rai Giampiero Galeazzi), fece una battuta sullo scudetto perso nell’88. E Diego se la prese, o finse: «Ma davvero dice presidente?». Nessuno, nella notte del 29 aprile, avrebbe potuto immaginare quel finale della storia con Maradona undici mesi dopo. Né nelle strade invase dai tifosi né sulla nave messa a disposizione dall’armatore Nicola d’Abundo per una crociera azzurra nel Golfo, a cui parteciparono i calciatori neo campioni, lo staff tecnico e pochi dirigenti. Ferlaino raccontò il suo secondo e ultimo scudetto in un’intervista a Carlo Franco, in cui descrisse lo sforzo fatto da imprenditore: «Dopo la delusione dell’88, la rivolta dei giocatori e le bizze di Maradona abbiamo speso 20 miliardi di lire per rifare la squadra». Sarebbe stato uno sforzo pagato a caro prezzo, perché senza le vittorie vennero meno gli incassi e iniziò una profonda crisi finanziaria e tecnica. Aggiunse, l’ingegnere, che Berlusconi «aveva dato la carica per vincere. La campagna anti-Napoli ha risvegliato non solo nei giocatori ma anche nei dirigenti, nei tifosi e complessivamente in tutto l’ambiente una dignità e una rabbia che poi è esplosa sul campo con una serie di risultati strepitosi». Il Napoli si sentì più forte e compatto perché aveva un bersaglio da colpire: il Milan e la sua arroganza. Berlusconi fece un colpo di classe telefonando a Maradona nel ritiro di Soccavo per fargli i complimenti. Diego era stato il grande (e unico?) acquisto mancato dal Milan in quegli anni. Il Dottore ci aveva provato, al manager Coppola offrì un ricco contratto ma poi il Pibe bloccò tutto: «Se vado là i tifosi del Napoli mi ammazzano». Vinto il secondo scudetto, negli spogliatoi del San Paolo il Capitano si sbilanciò: «Vi darò anche il terzo». Non ne avrebbe avuto il tempo.
Il Mattino affidò anche a due autorevoli commentatori le riflessioni sullo scudetto del 90 e il possibile effetto sulle aspirazioni di Napoli. Giuseppe Galasso fece un raffronto con la città «che sta assai male e non c’è nessun napoletano – Ferlaino in testa – che non preferirebbe la soluzione dei suoi problemi a qualsiasi scudetto. Ma non sta scritto da nessuna parte che lo sport, comunque si stia combinati, non possa dare piacere a soddisfazione». Marino Niola scrisse a proposito di quella festa che non era «un segno di falsa coscienza ma esprime invece un’ansia di riscatto globale, la speranza di poter festeggiare anche altre cose diverse da uno scudetto». Sono passati oltre trent’anni e siamo qui ancora ad aspettarle. F. De Luca (Il Mattino)
Potrebbe piacerti anche
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

For security, use of Google's reCAPTCHA service is required which is subject to the Google Privacy Policy and Terms of Use.