Avevamo battuto l’Argentina di Maradona e Passarella. Due a uno, incredibilmente, in una partita che sarebbe dovuta essere il viatico del tracollo per una squadra presa a pernacchie nel girone eliminatorio del Mundial di Spagna. Qualificazione miracolosa dopo un pareggio con il Camerun. Avevamo battuto l’Argentina e ci aspettava il Brasile. La spiaggia di Castelvolturno quel giorno era una distesa di sabbia punteggiata da pochi ombrelloni. La stagione era alle porte, e quei primi giorni di Luglio ancora non avevano mostrato il vero volto dell’ estate. Una immensa distesa sotto un sole cocente, da attraversare di corsa, fino alla battigia, i piedi a scottarsi fino a strillare. Aleixo se ne stava sulla riva, a palleggiare con il suo pallone del Botafogo, la sua squadra del cuore. La maglietta del Brasile , stinta da decine di lavaggi, con i fregi verde oro , screziata dai lampi del sole. Destro sinistro, testa, sinistro destro, spalla, con la palla che non toccava mai terra. Aleixo era un brasiliano, quindici anni di talento con il quale faceva luccicare la polvere del campo comunale di Castelvolturno, nelle sfide tra scapoli ed ammogliati, e nei mille tornei estivi organizzati, nei quali giocava come fuori quota. Era il figlio unico di una domestica della famiglia più ricca di Castelvolturno. Piazzammo le magliette e le borse a far da pali, sotto lo sguardo sorridente di Aleixo. I suoi occhi azzurri che ci osservavano, il pallone del Botafogo, sotto il braccio, i capelli biondissimi da tedesco e non da brasiliano. Biondo come Alemao, che quell’ anno giocava nel Botafogo. Bianco e nero, la maglia degli idoli del ragazzino brasiliano. Per noi una nemesi. Sulla sabbia di Castelvolturno Aleixo era imprendibile per chiunque. Eder era il suo idolo. Si chiamava come lui, Aleixo. E quell’ estate lui, il piccolo Aleixo impazzava lungo la spiaggia, come l’ altro Aleixo, Eder, con il suo Brasile luccicava al Mundial di Spagna. Una squadra formidabile, imbattibile, la squadra di Zico, Falcao, Cerezo, Junior. E di Eder, l’ attaccante che tutti chiamavano in Brasile “il piede sinistro di Dio”. Un tiro al fulmicotone, la testa matta di chi è fuoriclasse in campo, ma fuori dal prato verde vive una vita fatta di follie. Dribblava, Aleixo, il piccolo ragazzino che ad ogni vittoria del Brasile, in quell’estate del 1982, correva con la sua bicicletta indossando la maglia verde oro gridando la sua gioia lungo i viali di Castelvolturno. Oscillava come un pendolo, quel pallone tra i piedi nudi che sapeva controllare perfino quando scivolava verso il mare. Lo faceva saltellare nella risacca, tra la spuma delle piccole onde che si frangevano sulla riva. Danzava, un giocoliere biondo che irrideva gli avversari facendo gongolare i compagni che capitavano in squadra con lui. Quel mattino del 5 Luglio del 1982, dopo aver ricevuto un pallone a mezz’ aria, si libro’ in alto e con una forbice scaraventò la palla nel vuoto tra i mucchietti composti da magliette ed infradito sollevate a mo di palo. Poi, con le braccia spalancate come un paio di ali, incominciò a correre lungo la battigia: “Gol do Brazil, Eder, Brazil vence Italia e vai parais a semifinais da Copa do mundo”. Volava, Aleixo, sollevando spruzzi d’acqua, i capelli dorati zuppi d’acqua, la maglietta intrisa sul torso come una seconda pelle. Un angelo biondo nel sole. Recuperò il pallone del Botafogo, e si avviò verso l’ingresso del lido, sorridente , un’ espressione furba sul viso. Prima di uscire fece un cenno la mano , “tre”, poi rise forte, di gola, rovesciando il capo all’indietro ed accennò un piccolo passo di samba. Quel pomeriggio ci riunimmo tutti assieme. L’Italia, la sua maglia azzurra, che ci univa, per un’ estate di calcio indimenticabile. Fu un pomeriggio incredibile. Rossi ne fece tre. Antognoni segnò il quarto, e gli venne annullato. Oggi il var lo avrebbe considerato buono. Gentile strappò un’altra maglia dopo quella di Diego. Bruno Conti dribblò anche la storia. Zoff inchiodò il Brasile alla sconfitta. E l’Italia volò in semifinale. Fu una notte di festa, lì dove eravamo in vacanza. Strillammo fino a farci bruciare i polmoni. Il giorno dopo, in spiaggia, arrivammo di corsa. Gridavamo ancora, ebbri di felicità. Aleixo lo vedemmo subito. Se ne stava sotto un ombrellone, a dieci metri dalla riva, seduto , lo guardo rivolto verso il mare. Non indossava la maglietta, ed il pallone del Botafogo stava immobile a qualche passo da lui, accoccolato al sole. Non guardò mai verso di noi, per tutto il tempo della nostra partita. Non si mosse nemmeno quando la palla rotolò verso di lui. Fu un momento nel quale ogni cosa si fermò. Ci muovemmo noi, tutti assieme. Lo circondammo. Aveva gli occhi lucidi. Una mano, poi due, cinque, dieci. Aleixo fu sollevato in piedi, messo nel mezzo del gruppo, e trasportato verso il campo di gioco in sabbia smossa dai nostri piedi e dal movimento del mare. Qualcuno gli circondò le spalle con un braccio. Lui sorrise, prima triste, poi più allegramente. Vide il pallone arrivare, e lo controllò prima con il destro poi con il sinistro. Poi lo scagliò verso il mare. Tutti corremmo dietro quel pallone. Tutti assieme. Ci penso ancora, a quell’ estate, ogni volta che arriva il 5 Luglio .
Stefano Iaconis