Sebino Nela: “Quest’anno niente pronostici, ma Luciano ha già vinto”

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Difensore nato. Nel calcio, come nella vita. Sebino Nela non è mai stato un tipo che bada troppo alla forma. Va sempre dritto per la sua strada, anche oggi che ha smesso con il calcio. Il suo stile di vita resta lo stesso: palla o gamba. L’importante è essere deciso. Senza esitazioni di alcun tipo.

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Eppure su chi può vincere lo scudetto è in dubbio…«Per forza di cose. Bisogna andarci con i piedi di piombo con i pronostici perché ogni settimana ci tocca cambiare opinione. Una volta tocca all’Inter, un’altra al Milan, un’altra ancora al Napoli».

E allora che si fa? «Facile: aspettiamo. Tutte hanno fatto vedere dei limiti e di essere soggette a momenti di cedimento».

Secondo lei a cosa sono dovuti? «Non bisogna commettere l’errore di pensare a un problema di approccio mentale da parte dei giocatori. Ne conosco la mentalità, sono stato calciatore anche io. Mi alleno tutta la settimana e l’allenatore mi dà le motivazioni per dare il meglio. Poi quando si va in campo si aggiunge un fattore imprevedibile: l’avversario».

In che senso? «Ci sono giornate sì e giornate no. A volte dopo due minuti capisci che non sarà una partita facile».

Da ex difensore: cosa ne pensa dei tanti gol subiti dal Napoli nelle ultime partite? «L’errore di reparto ci può stare, così come ci sta l’errore del singolo. Ma i motivi possono essere tantissimi. Se fai il calcolo di una stagione intera è una cosa, ma sul breve periodo possono esserci troppe variabili. E tra queste c’è sempre l’avversario: magari a volte sono bravi anche loro».

Andiamo nella testa: Mourinho cosa sta dando alla Roma? «Dal punto di vista del gioco sicuramente poco, ma nel corso dei mesi ha insegnato alla squadra a non mollare e a lottare fino alla fine. Poi la sua Roma sa sfruttare bene le palle inattive. Quando vengono a saltare portano in area chili, cattiveria e centimetri. Sanno anche fare bene il contropiede. Difficile che venga a fare la partita».

E il metodo Spalletti? «Luciano quest’anno ha fatto molto, forse anche di più perché non ci aspettavamo che rilanciasse alcuni giocatori. Per me lui ha già vinto. Poi se la giocherà fino alla fine. Il suo voto è già altissimo e può solo andare a migliorare».

Quanto incidono gli allenatori nel calcio di oggi? «Bisogna dare la giusta importanza all’allenatore. Vanno rispettati il loro lavoro e la loro bravura, ma molto dipende dai giocatori che hanno a disposizione. Un tecnico bravo deve individuare i ruoli per i propri calciatori, deve essere un bravo comunicatore e un bravo stimolatore».

Lei come mai non ha preso questa strada? «Perché ho fatto il calciatore e so con chi dovrei avere a che fare. L’idea mi aveva anche sfiorato, ma non è assolutamente facile. Non so se oggi sarei un allenatore democratico o un autoritario. Forse per essere bravo ci vuole un mix».

Le capita spesso di parlare del suo legame con Napoli, come mai? «Da bambino, quando leggevo fumetti, ero sempre dalla parte dei più deboli. Così ho sviluppato un grande senso di appartenenza. Quando vivi certe realtà ti rendi conto di dove ti trovi e con chi hai a che fare. A Napoli ci ho messo un attimo ad ambientarmi. E infatti ancora oggi mi incazzo con la gente che non è mai stata lì. Magari vanno alle Maldive o in Australia e non conoscono Napoli».

Cosa la fa arrabbiare? «Il pregiudizio verso questa città. Ho scoperto che tutti quelli che ne parlano male poi vengono a Napoli a fare le vacanze. Ci vuole un po’ di intelligenza: devi capire con chi hai a che fare e come si ragiona».

Da quando ha annunciato la sua malattia le è capitato di ricevere messaggi di affetto dai napoletani? «Soprattutto quando sono a Napoli per lavoro o in vacanza. Si avvicinano e con fare molto educato e mai invadente mi chiedono Come va?».

E allora glielo chiediamo anche noi: come va? «Ora va bene. A maggio devo fare uno dei miei soliti controlli e le cose spero vada bene».

Mihajlovic e Vialli hanno deciso di combattere la loro malattia anche sul campo. «Sinisa l’ho sentito tempo fa e sono al corrente di tutto tramite un amico comune. Gianluca l’ho incontrato allo stadio e abbiamo parlato un po’. Non va dimenticato che siamo pur sempre essere umani. Magari siamo solo più famosi di altri, e per questo c’è più clamore. Sembra che noi siamo più forti forse perché abbiamo fatto sport e perché c’è sempre un obiettivo da raggiungere. Ma sappiamo benissimo che qui non si tratta di una partita o di una finale da raggiungere: si parla della vita, lo sport conta poco e niente. L’unica cosa che posso dire è che abbiamo conservato tutti la predisposizione alla lotta e del raggiungimento di un obiettivo. Questo è il modo giusto per combattere contro cose di questo genere».

B. Majorano (Il Mattino)

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