Dino Zoff: “Per lo scudetto il Napoli ha il dovere di crederci fino in fondo”
Nel corso della storia dello sport ci sono stati tantissimi atleti che hanno cercato di fermare il tempo, alcuni con risultati più modesti di altri, ma lui sicuramente c’è riuscito. Lo ha fatto, in particolare, durante gli istanti conclusivi della semifinale tra Italia e Brasile, in quel fantastico Mondiale spagnolo del 1982. Il colpo di testa di Oscar sembrava indirizzato la dove vogliono i fotografi se non fosse che Dino Zoff, a 40 anni ma con la reattività di un ragazzino, riuscì a bloccare il pallone sulla linea, consegnandoci finale e titolo. Non è di certo l’unica grande impresa della sua carriera ma probabilmente è la più iconica perché, come ci ha confermato lui stesso, un Mondiale così non si ripeterà più.
Oggi Zoff continua a seguire il suo amato calcio, con la stessa passione del primo giorno. Ecco perché, in vista dei momenti più caldi della stagione, non potevamo esimerci dal chiedergli un parere. Dalla lotta Scudetto, sempre più avvincente dopo i fatti di Napoli-Milan, ai prossimi impegni dell’Italia di Roberto Mancini. Ora però è giunto il momento di lasciare la parola a un campione, uno che in carriera ha sempre preferito rispondere con i fatti, ed è proprio da qui che possiamo capire il valore dell’uomo prima ancora che del giocatore.
Il 28°turno di Serie A ha regalato spunti interessanti, soprattutto in ottica Scudetto. Secondo lei, dopo quanto visto anche in Napoli-Milan, c’è qualche squadra più pronta di altre per la volata finale?
“Direi che il Milan ha trovato grande forza e convinzione, che gli permetteranno di lottare sino alla fine. Al di là del risultato, credo che anche il Napoli abbia il dovere di crederci fino in fondo. I ragazzi di Spalletti hanno riscontrato qualche problemino nelle ultime uscite, ma sono cose che capitano. Anche con la Lazio, nonostante la vittoria, si è intravista qualche difficoltà. A parte questo, mi sento di dire che il Napoli è ancora in corsa. Lo stesso discorso vale, ovviamente, per l’Inter. I nerazzurri devono recuperare ancora una partita che, a prescindere dal risultato, terrà ancora aperto il discorso Scudetto“.
Per quanto riguarda la Juventus, è d’accordo con il pensiero di Allegri? Secondo lei, lo Scudetto è davvero inarrivabile? I bianconeri farebbero meglio a virare su altri obiettivi, come la Champions League e la Coppa Italia?
“Credo che la Juventus abbia il dovere di puntare al miglior risultato possibile, a prescindere dalla competizione. È vero che, come sostiene Allegri, lo Scudetto sembra fuori portata, ma tutto è possibile. La Juventus deve mettere in campo tutto quello che ha, senza dare nulla per scontato”.
Restando sulle ultime due sfide di Champions League e Coppa Italia, le è piaciuta la Juventus o si aspetta una squadra diversa nelle gare di ritorno? È soddisfatto del contributo dei nuovi innesti, Vlahovic su tutti? Crede che avranno bisogno di altro tempo prima di potersi inserire al meglio?
“In questo periodo i risultati stanno arrivando, poi è normale che in alcuni momenti la squadra possa essere più stanca. Le assenze, in particolare quella di Dybala, sono un fattore importante. Nel complesso, credo che se la squadra continua a vincere con questo ritmo vuol dire che sta dando il meglio di se. Per quel che riguarda gli ultimi arrivati, non penso che ci sia bisogno di aspettare troppo prima di poterli giudicare, se un giocatore è bravo può far bene sin da subito“.
Il 24 marzo l’Italia di Roberto Mancini sarà impegnata nel primo spareggio contro la Macedonia del Nord, quante possibilità ci sono di andare al Mondiale? Secondo lei, dopo la vittoria dell’Europeo, gli Azzurri hanno sofferto il peso del pronostico oppure si tratta di una semplice coincidenza?
“Non credo che si tratti di una coincidenza, avevamo due opportunità, contro Svizzera e Irlanda del Nord, ampiamente alla nostra portata e le abbiamo fallite. Adesso ci attende la gara più complicata, ma l’Italia è abituata a tirare fuori il meglio di se nei momenti difficili. Questa partita arriva diversi mesi dopo l’impresa della scorsa estate, il che può essere un vantaggio. Le ultime prestazioni non sono state all’altezza di quel trionfo, ma questo può essere dovuto anche al contraccolpo dato proprio da un successo di quel calibro. Sono convinto che l’Italia abbia tutte le carte in regola per andare al Mondiale, non dobbiamo dimenticare che siamo i Campioni d’Europa in carica” .
Ha dato l’addio al calcio molto tardi, dopo aver oltrepassato la soglia dei 40 anni, così come stanno facendo Gianluigi Buffon e Zlatan Ibrahimovic. Oltre alla grande passione, c’è qualcos’altro che vi accomuna oppure stiamo parlando di tre carriere completamente diverse?
“A mio modo di vedere non si tratta di tre carriere poi così diverse tra loro, anzi, più o meno le reputo abbastanza simili. Io ho deciso di dare l’addio al calcio a 41 anni, perché lo ritenevo il momento più adatto. Buffon da l’idea di uno che si diverte ancora tanto, ed è giusto che vada avanti fino a quando il calcio lo farà stare bene. Lo stesso discorso vale per Zlatan Ibrahimovic, il quale ha più volte dimostrato di essere ancora all’altezza della situazione“.
Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo è passato dall’altra parte del campo, per ricoprire i panni dell’allenatore. Come si è trovato in queste nuove vesti? È stato più “sofferto” il ritiro da giocatore o quello da tecnico?
“Sicuramente quello da giocatore, perché lo fai negli anni migliori e ti trovi a dover chiudere una parentesi molto importante della tua vita. Da allenatore vedi le partite con un occhio diverso, ma devi sempre ragionare con la stessa mentalità che avevi quando giocavi. Si tratta di un ruolo totalmente differente, dato che non rispondi solo delle tue azioni all’interno del terreno di gioco, ma ti trovi davanti a un lavoro più ampio”.
Quasi tutti i portieri hanno una storia particolare alle spalle. Lei come ha iniziato e quando ha deciso che sarebbe diventato un portiere? Le piace come si è evoluto il ruolo negli ultimi anni?
“Ai miei tempi si giocava a calcio solo per divertimento, senza le pretese di dover diventare un giorno dei professionisti. Ovvio che quando passi dalla squadra del tuo paese a dei palcoscenici più importanti, inizi a pensarci. Ma, in generale, la mentalità di allora non prevedeva tutto questo. Sicuramente è un qualcosa in più, anche se non vorrei che questo distogliesse l’attenzione dal compito principale del portiere. Puoi essere bravo quanto vuoi nell’impostare l’azione, però, se alla fine di conti subisci troppi gol c’è qualcosa che non va. Non mi sembra un fattore così complicato e fondamentale, anch’io avevo un buon destro, ma ho sempre privilegiato altri aspetti“.
In una recente intervista ha dichiarato che la semifinale dell’Europeo 1968, allo stadio San Paolo di Napoli contro l’Unione Sovietica, è stata una delle emozioni più grandi della sua carriera. Come si è sentito a diventare protagonista, complice l’infortunio di Albertosi, nel momento più delicato del torneo?
“È stato un momento particolare, avevo già avuto la possibilità di esordire contro la Bulgaria, ma la partita dopo era completamente diversa. Entrare in campo con 90mila persone sugli spalti, pronte a sostenerti e a intimorire l’avversario, è un qualcosa che non si vede spesso. Senza contare che quell’Europeo era veramente complicato perché ti trovavi davanti squadre che, come nel caso della Jugoslavia, erano formate da giocatori provenienti da 17 repubbliche diverse. Il livello degli avversari era molto alto”.
A proposito della Jugoslavia, che ricordo ha degli istanti che hanno preceduto la seconda delle due finali? Vi sentivate più sereni rispetto alla prima partita?
“Nella prima finale contro la Jugoslavia eravamo stati abbastanza fortunati, mentre loro ci avevano messo in grande difficoltà. Ecco perché, prima della seconda finale, non eravamo affatto tranquilli. Tuttavia, viste anche le diverse sostituzioni rispetto alla gara precedente, sapevamo di poter fare molto meglio”.
Durante la sua avventura con la maglia della nazionale italiana ha preso parte a quattro spedizioni Mondiali, dal 1970 al 1982. Tralasciando il suo ruolo all’interno della squadra, c’è stato un aspetto comune che ha ritrovato nel corso di queste quattro esperienze?
“Di simile c’era l’importanza della maglia che andavi a vestire, oltre alle varie emozioni, dalla delusione alla gioia, che un giocatore può assapora in un torneo di quel calibro. A cambiare era il contesto attorno a noi, l’esasperazione mediatica in particolare, visto che ogni Mondiale rappresentava un’epoca diversa. Il cambio generazionale e mediatico è fondamentale per far si che la sostanza e l’importanza di certe competizioni rimanga inalterata”.
Il Mondiale del 1982 è stato uno dei più grandi successi nella storia della nazionale italiana. Lei, avendolo vissuto in prima persona, come lo giudica?
“Un Mondiale come quello del 1982 è quasi irripetibile, per via della spettacolarità e del fatto di aver messo a segno così tanti gol su azione, alcuni davvero stupendi. Ovviamente anche la spedizione del 2006 resta un grandissimo successo per l’Italia. Tuttavia, durante l’edizione spagnola abbiamo assistito a un’impresa epocale, che passa poche volte nella storia del calcio“
Ritornando all’Europeo del 1968, ha condiviso quell’impresa con Gigi Riva, con il quale ha dichiarato di aver svolto anche il servizio militare. Questo ha fatto si che il vostro rapporto fosse ancora più stretto, in particolare durante quell’esperienza?
“Direi proprio di si, nonostante io avessi già avuto delle esperienze precedenti con la nazionale italiana. Avendo svolto insieme tutto il servizio militare, io e Gigi avevamo un rapporto speciale. Anche perché, oltre a essere stato un grandissimo giocatore, è anche una gran bella persona“.
Parlando sempre di amicizie nate all’interno del mondo del calcio, possiamo chiederle un suo ricordo a proposito di Enzo Bearzot e di Gaetano Scirea?
“Enzo Bearzot era un uomo e un professionista esemplare, oltre a essere stato il principale artefice della grande impresa del 1982. Lo stesso discorso vale per Gaetano Scirea, il quale era un uomo di grande stile, sia dentro che fuori dal campo. Entrambi rappresentano due grandi perdite, per tutto il mondo del calcio e non solo”.
Fonte: Footballnews24 – https://footballnews24.it/dino-zoff-in-esclusiva-il-mondiale-82-e-irripetibile-io-buffon-e-ibrahimovic-tre-carriere-simili/