All’andata aveva segnato Orlandini. Dopo una mischia furiosa, dopo un’azione insistita. Un solo gol da difendere ad Oporto. Al das Antas. Contro i dragoni. Quelli del Porto si chiamano così. E ci aspettava una serata con il soffio dagli spalti di ottantamila draghi. Soffio come un lenzuolo di fiamma. Quella sera la radio inviava emozioni a torrenti. Il Napoli di Vinicio, di Clerici, provava a difendere quel piccolo gol su uno dei campi più difficili dell’Europa calcistica di quegli anni. Fu la voce di Ciotti a raccontare l’impresa. Quella sua voce da “abbrugatiello” che crepitava assieme alle onde magnetiche della radio. Raccontò di una serata epica. Di quelle che non si dimenticano più. Il Porto che attaccava, furioso, il Napoli che si difendeva. Le mani sotto il mento, aspettavo quel gol del vantaggio portoghese che non veniva mai. Mentre la cucina si riempiva di un profumo di brodo. Un profumo antico come quella partita. Perduta nei meandri del ricordo. Mai dimenticata. Come tante partite, mai dimenticate. Come quel profumo di brodo, in quella cucina. Novembre fuori crepitava anche lui, lasciando che la pioggia battesse sui vetri. Aspettavo. Consapevole che prima o poi il Porto avrebbe segnato ed il Napoli sarebbe stato travolto. Invece il risultato restava inchiodato sullo zero a zero. E Ciotti accompagnava il tempo di gioco con quella sua voce da cantore dolcemente antico. Lo risento mentre quella voce cruda strilla “Clerici! Il Napoli è passato in vantaggio”. Successe al settantasettesimo. Ed il Napoli passò agli ottavi di finale. Diecimila tifosi in delirio andarono ad accogliere gli azzurri a Capodichino. Ci andai anche io. Naturalmente non da solo. E mi ricordo il boato quando Clerici apparve. Poi il Banik Ostrava ci eliminò. La squadra più semplice da affrontare tra le altre quindici rimaste in tabellone con noi. Una semplice squadra cecoslovacca. Altrimenti non sarebbe il Napoli. E noi non ne saremmo malati.
Stefano Iaconis