La denuncia delle figlie di Maradona: «Un piano per derubarlo»

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C’era un piano per derubare Diego Armando Maradona, morto il 25 novembre di un anno fa. E quel piano sarebbe stato attuato da una vera e propria associazione a delinquere creata da Matias Morla, l’avvocato di Buenos Aires che negli ultimi anni si era occupato degli affari del Campione.

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La pesantissima accusa di Dalma e Gianinna Maradona è stata formalizzata in una denuncia presentata dai loro avvocati presso il tribunale di Mar del Plata al pm Maria Cecilia Corfield e al giudice Pablo Reale. Presentata da loro due e non dagli altri tre eredi (Diego Jr, Jana e Diego Fernando, il minore rappresentato dalla madre Veronica Ojeda).

Potrebbero esservi delle crepe tra i figli di Maradona: il fatto che siano legalmente sullo stesso fronte per la divisione della eredità non ha sanato le tensioni che esistono da anni. Ad esempio, non risulta che nel suo recente viaggio a Napoli per realizzare un docu-film Dalma, figlia di Diego e Claudia Villafane, abbia incontrato Diego Jr, il figlio di Cristiana Sinagra che soltanto pochi anni fa abbracciò suo padre davanti alla casa di Villa Devoto, uno dei beni messi all’asta.

La denuncia di Dalma e Gianinna è forte. Accusano Morla, sua sorella Vanesa e l’assistente Maxi Pomargo di «associazione a delinquere, circonvenzione di incapace, frode e appropriazione indebita». Avrebbero attuato il loro “piano”, facendo firmare a Maradona documenti per cedere i diritti commerciali e firmare contratti pubblicitari, da luglio a novembre 2020 nell’appartamento in località Brandsen, dove Diego viveva prima di essere operato alla testa. Il “piano” – evidenziano i legali delle figlie di Maradona – sarebbe stato attuato con la complicità di Hernan Prandi, che si occupava dei prelievi dai conti bancari intestati a Diego e alle sue società; del notaio Sandra Iampolsky, che ha dichiarato che l’ex capoitano della Seleccion argentina e del Napoli era in grado di intendere e volere quando sottoscrisse i contratti per la cessione dei diritti commerciali a Morla e di quelli di immagine all’imprenditore napoletano Stefano Ceci; dello psicologo Carlos Diaz e del nipote dell’asso, Johnny Esposito, che assisteva lo zio. Secondo le accuse, questo “gruppo” guidato da Morla avrebbe ordito un piano per impossessarsi dei beni e dei marchi di Maradona, «che era psicologicamente sottomesso e non poteva percepire quanto stesse accadendo al suo patrimonio», anche perché – sostengono i legali di Dalma e Gianinna – gli erano somministrati quantitativi di alcol e droga dal nipote Esposito e da Charly Ibanez, un pregiudicato che frequentava l’appartamento di Brandsen, pur essendo ricercato dalla polizia di Buenos Aires per rapina a mano armata.

Le accuse, ovviamente, dovranno essere provate. Ciò che colpisce è che le figlie di Maradona abbiano scoperto questo “piano” coordinato dall’avvocato Morla dopo la morte del padre. Possibile che negli anni in cui il sodalizio tra Diego e il legale (e i suoi collaboratori) era fortissimo non si fossero rese conto di quanto stava eventualmente accadendo? Morla era apparso al fianco di Maradona per la prima volta quando lui denunciò la ex moglie Claudia Villafane per avergli sottratto circa 5 milioni di dollari per operazioni immobiliari in Florida, lanciando accuse anche contro le figlie, che sarebbero state poi escluse da un primo testamento firmato a Dubai. Nell’inchiesta sulla morte di Maradona, condotta dai pm della procura di San Isidro, vi sono 8 indagati per omicidio con dolo eventuale. Tra i punti su cui i magistrati intendono fare luce c’è il trasferimento di Diego nell’appartamento di Tigre, a 25 chilometri da Buenos Aires, dove non vi erano adeguate attrezzature per un paziente complesso come era il Campione, reduce da un’operazione alla testa. E, a quanto risulta, quella decisione – contro la quale si erano opposti i medici della clinica Olivos – la prese Gianinna Maradona.F. De Luca (Il Mattino)

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