Gli allenatori sono la chiave, perché sia Spalletti che Pioli hanno preso progetti che sembravano destinato ad altro (e ad altri) e li hanno resi propri. Con un marchio a fuoco che nessuno mai potrà provare a cancellare. Luciano è arrivato a Castel Volturno dopo il disastro di Napoli-Verona del 23 maggio scorso, con una squadra demotivata e un capitano alle prese con il contratto in scadenza. Non si è guardato alle spalle ma ha puntato subito al futuro. Idee chiare, voglia di vincere e una mentalità forte per dominare ogni partita dall’inizio alla fine. Ha blindato la difesa, ha promosso il giovane Rrahmani titolare al posto del veterano Manolas, ha dato fiducia senza tempo a Osimhen e ha confermato Insigne da capitano e uomo squadra.
Dall’altra parte Pioli ha vissuto con la scimmia di Rangnik sulla spalla, se l’è levata di dosso con una calma olimpica e alla fine ha saputo tirare fuori il meglio da quello che aveva a disposizione. Ha valorizzato i giovani, ha saputo fare a meno di Ibra e ha avuto la pazienza di aspettare la crescita esponenziale del talento di Tonali. Il suo Milan gioca un calcio a volte un po’ frettoloso, ma al momento giusto sa ritrovare coraggio, e anima: quelle due cose che fino a due anni fa sembravano magicamente svanite da Milanello.
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Fonte: Il Mattino