Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Jonas di Varnamo”

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Jonas Magnus era un guerriero nato. Veniva da Varnamo, dal sud della Svezia, dove i vichinghi di questa nazione producevano la migliore manifattura di spille, else per spade, e polene. Le polene, le mitologiche prue delle navi vichinghe che sbucavano improvvise dalla nebbia seminando il panico tra le popolazioni che affacciavano sul mare nel nord Europa. Jonas Magnus era più conosciuto come Thern, e della stirpe vichinga di Varnamo, conservava intatto il suo spirito di battaglia. Quando giocava pareva a volte maneggiare una scure dalla lama affilatissima. Lui ed il suo ciuffo biondissimo alla Hasse Jeppson, in quelle nebbie di albe scandinave, si è perduto, senza più riemergere, assieme al ricordo di un Napoli targato Ottavio Bianchi. Il secondo Napoli del vate silenzioso capace di portare lo scudetto a Napoli. E del Napoli di Marcello Lippi poi, quello degli ultimi squilli di gloria. Un sesto posto, una qualificazione Uefa. Poi, appunto, la nebbia. Quella stessa nebbie che inghiottì di lì a poco la società azzurra, costretta a smantellare il suo organico prima, nel vano tentativo di fermare l’ inevitabile ruzzolo nelle serie minori. Veniva dal Benfica, Jonas. Poderoso, instancabile, indomabile. Non era rapido, ma percorreva il campo in lungo e largo. Ed aveva un piede che, a volte, ricamava trame di gioco, scintillanti come quelle fibbie e quelle polene confezionate dai fabbri di Varnamo. Era un Napoli altalenante, e così anche quel suo svedese a volte sontuoso, imprescindibile, altre anonimo, seguiva l’ onda emotiva di pomeriggi nei quali tutto poteva accadere. Come quel pomeriggio di Parma. Un pomeriggio di dicembre, poco prima di Natale, un pomeriggio di nebbia e pioggia. Come piace ai vichinghi. Contro il super Parma di Nevio Scala. Di Melli, Osio ed Asprilla. Il colombiano che quando segnava faceva la giravolta in aria. E di Zola e Crippa, passati alla corte emiliana con il marchio di traditori. In realtà il Napoli già affogava. I flutti del fallimento si agitavano al largo di campionati nei quali la squadra si ritagliava minuscoli spazi di allegria, dentro una nota malinconia che risuonava comunque. Zola fu espulso in quel match. Finì tre a uno per il Napoli, in rimonta. Contro un Parma stellare. Jonas fece il terzo gol. Con una randellata della quale si udì il suono fino in tribuna. Fu una partita meravigliosa, che Jonas Thern giocò da campione. Venne sotto la curva del Tardini dove c’erano assiepati i tifosi del Napoli, e sollevò i pugni. Gli rispose un boato come se un intero equipaggio vichingo balzasse giù da una nave dalla vela quadrata, urlando il suo arrembaggio. Fu un Natale di festa, perché quel Parma era una delle migliori squadre d’Europa. In un pomeriggio vichingo, Thern mise il suo unico sigillo con la maglia azzurra. Il suo unico gol realizzato in 47 partite, prima di passare alla Roma. Con la quale, per un buffo scherzo del destino, l’anno seguente segnò un gol al San Paolo. In una larga vittoria romanista contro una squadra azzurra picconata dai guai societari. Non esultò, Thern. Sollevò solo un braccio, che emerse dal piccolo grappolo festante giallorosso, come una polena vichinga avvistata dalla riva. Fu un presagio, quell’ esultanza, per il popolo del San Paolo. Perchè dalle nebbie saltò fuori la polena di un destino rovinoso. Mi piaceva Jonas Thern, dal ciuffo biondo, gli occhi di ghiaccio ed il temperamento latino. Mi piaceva il suo stile di gioco, essenziale, mai fragoroso, eppure elegante, mai irruente. Mi piaceva. Quel pomeriggio a Parma, uscì dal terreno di gioco con la “8” gettata sulle spalle nude. Faceva freddo. C’era la nebbia che incombeva. Ma lui era un vichingo. Un vichingo di Varnamo, approdato a Napoli. Per razziare passione.

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Stefano Iaconis

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