Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Mancini y Viali”

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Mancini y Viali. Così, Viali. Era come li chiamava “zio Vuja”, al secolo Vujadin, Boskov, quello di “Gullit è come cervo che esce di foresta”. Mancini y Viali, Mancini e Vialli. Molti, molti anni in più, una frangia ribelle ed una massa riccioluta fa, ma il giro vita sempre eguale, come quegli occhi spiritati in quell’abbraccio che mi ha riportato ad un tempo lontano, fuggito via, mai dimenticato. Come un amore che cerchi sempre dentro altri occhi. Quel pomeriggio nel quale, Mancini y Viali, si presero il San Paolo, con una doppietta a testa. E due gol gemelli, come lo erano loro. Due gol che Fuorigrotta celebrò con un applauso tonante. Due gol che furono il passaggio di consegne, ben più che simbolico, tra i campioni d’Italia in carica e quelli futuri che, proprio quel pomeriggio, chiusero con la ceralacca il testamento ereditario tra il Napoli di Diego e la Sampdoria di Mancini y Viali. Poco dopo Diego sarebbe andato via, per sempre. Lontano dai nostri sguardi, mai più dai cuori e dai ricordi. E loro, Mancini y Viali, avrebbero festeggiato il loro primo ed unico scudetto vinto assieme. Che nacque quel pomeriggio. Dopo il vantaggio napoletano di Incocciati. Che planò di testa, come un aquilone nelle correnti ascensionali della speranza, sul pallone, battendo Pagliuca. Il Napoli era partito malissimo, nella stagione con il secondo scudetto cucito sul petto, e quel gol, contro una Sampdoria lanciatissima, parve essere un segnale. Esultarono tutti come fosse una liberazione. Ma durò due minuti. Il tempo per quell’aquilone di esser deviato da un colpo di vento, che sbilanciò anche Baroni in marcatura su Vialli. Anzi, Viali. Che la girò in rete in acrobazia. Ed ancora il tempo che il filo di quell’aquilone sfuggisse via dal polso di una squadra oramai al crepuscolo delle sue gesta, e Mancini, sotto porta, fece il due a uno. Mancini y Viali. Mancini e Vialli, il ciuffo e la zazzera riccia. Il secondo tempo fu un assedio. Pagliuca si trovò a fronteggiare un assalto. L’ultimo guidato da Diego. Sotto la porta doriana per venti minuti accadde l’impossibile. Poi Vialli, in un contropiede fulmineo, infilò la palla sotto la traversa. Al volo. Roba da spellarsi le mani. Ed il San Paolo rispose. L’ applauso arrivò, puntuale. Vialli andò a cercare Mancini. In un abbraccio che trent’ anni dopo si sarebbe rivisto. Eguale. La partita, quella vera, finì in quel momento. Trascinandosi fino al luccicante frammento dell’ indimenticabile gol di Mancini. Lombardo che fuggì via lungo l’out di destra, seminando gli azzurri ormai alla resa. Il suo traversone che tagliò l’area, Mancini che cambiò il passo per colpire il pallone di destro, controtempo. Trent’ anni dopo ho ancora il rumore dell’ impatto perfetto della sfera con il suo piede. Ne udimmo il suono nel silenzio delle tribune. Abbattè l’aquilone quel tiro, che giocò con i due pali e terminò in rete. L’applauso, stavolta fu uraganico. Mentre Mancini e Vialli si abbracciavano ancora. Mancini y Viali. Loro. Che uscirono dal prato con Diego in mezzo. Diego oggi non c’è più, ma vedere loro due, Mancini y Viali, cercarsi dopo il gol di Chiesa all’Austria, mi ha fatto pensare che, da lassù, avrà sorriso anche lui. Dando di gomito a zio Vuja.

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Stefano Iaconis

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