La prima regola di Spalletti, non dare riferimenti in mezzo al campo

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Popolare la trequarti di incursori effimeri e letali, capaci di apparire e svanire con la stessa facilità e lo stesso risultato micidiale. I giocatori che lui ama, quelli non scolpiti in ruoli rigidi, ma capaci d’interpretazioni fluttuanti, di andare a prendere in prestito zone del campo, le meno trafficate, e, da lì, andare ad attaccare nei buchi indovinati per fare male. Quella che lui chiama “la rumba della rotazione”. I Di Natale e i Di Michele dell’Udinese, i Perrotta, i Perotti, El Shaarawy, il Nainggolan inventato trequartista della seconda Roma. E, su tutti, il Totti finto e fino nove, da cui il suo “celebre 4-2-3-0”, riformulato nel 3,5-2-2,5-1. Astruserie numeriche del labirintico Spalletti per rappresentare un calcio dove le identità sono labili e i calciatori abili. A nascondersi e a sbucare dal nulla per diventare tutto.  G. Dotto (Cds)

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