Il Putsch di luglio era ancora di là da venire. L’ Anschluss una idea peregrina nella mente di un folle che strillava di spazi vitali. Il nazismo soltanto una eco, non lontanissima, che dalla Baviera si annunciava infilandosi attraverso i passi del Watterstein, la catena montuosa che divide la Germania dall’Austria. Sindelar, il fortissimo centrocampista dell’ Hertha Vienna, detto “carta-velina” per il suo fisico filiforme capace di infilarsi tra le maglie di qualunque difesa, aveva da poco strabiliato con la sua nazionale, il Wunderteam, ai mondiali di Roma, piegato soltanto da un gol di Guaita, oriundo italico dal tiro come uno staffile, in una semifinale leggendaria. Sindelar sarebbe poi morto in circostanze misteriose, poco dopo: si rifiuterà di giocare per la nazionale tedesca quando Hitler annetterà l’Austria alla Germania. Quel pomeriggio l’estate inondava Vienna, il sole brillava forte sul piccolo fortino dei viennesi, lo “Stadion Der Hopfengasse”, un impianto che conteneva ventimila spettatori stipati uno sull’altro. Mister Garbutt, con un soprabito impermeabile sulla camicia, e le mani nelle tasche, stava in piedi sul bordo della panca in legno che lo ospitava. Mancavano venti minuti alla fine della partita inaugurale della Mitropa Cupa, la coppa Mitteleuropea, l’antenata della coppa dei Campioni. Ci partecipavano le prima quattro squadre del campionato austriaco, cecoslovacco, italiano e ungherese. C’erano in campo quelli dell’Admira Wacker, freschi campioni austriaci, nella loro splendida divisa nera a strisce verticali bianche, con le maglie dai lacci incrociati annodati alla gola. L’ Admira Wacker, una delle squadre più forti d’Europa. Di fronte a loro, in azzurro, stava il Napoli. Il Napoli che si era classificato incredibilmente terzo, dietro la Juventus di Combi, Rosetta e Calligariis, l’Inter del “Pep” Meazza, e davanti al Bologna di Arpad Weisz. Il mago. Il Napoli stava impressionando il pubblico viennese, perché l’Admira Wacker, fresco campione d’Austria per la quarta volta in sei anni, una delle più forti squadre d’Europa, era tenuta in scacco da quella piccola, sconosciuta squadra italiana in maglia azzurra. Zero a zero, con Garbutt, l’ allenatore inglese trapiantato a Napoli, che se ne stava immobile, a guardare i suoi che, senza alcuna paura, sfidavano alla pari l’Admira. Garbutt, che per le strade di Napoli, tutti chiamavano “Mister” Garbutt, “scarusandosi” nel saluto. Il termine “Mister” nacque allora. Buffo. Perchè mister Garbutt era una leggenda. Aveva creato il mito del Genoa, ed Ascarelli, il presidentissimo del Napoli che sognava in grande, lo aveva voluto alla guida degli azzurri. In quel pomeriggio viennese, che resterà nella memoria come la prima volta che il Napoli fece la sua apparizione su un palcoscenico europeo, Cavanna, il numero uno azzurro, “Giaguaro” nella fantasia del popolo azzurro prima di Luciano Castellini, aveva eretto una saracinesca a guardia della sua porta. Vojak, l’ala azzurra dal basco sempiterno calcato sul capo, anche in campo, e la retina a tener fermi i capelli lucidi di brillantina, era una spina nel fianco della difesa austriaca. Attila Sallustro si batteva come un leone. Rivalta, stopper dalle fattezze da granatiere, svettava altissimo su ogni palla piovesse nella sua area, ingaggiando un duello tutto fisico con i dotatissimi giocatori austriaci. Maggiorino Mongero, semi sconosciuto centrocampista che giocò appena cinque partite in maglia azzurra, in due anni, che fece il suo esordio assoluto, giocando una partita incredibile, proprio quel giorno, era ovunque. Quelli dell’Admira Wacker avevano immaginato un valzer, nella cadenza di quel loro calcio fatto di un nugolo di passaggi, con la palla che veniva toccata da tutti prima di liberare al tiro qualcuno, e si erano ritrovati, invece, nel vortice di una tarantella. Suonata al ritmo di tackle, contrasti, scivolate. E durezza, senza concedere nulla allo spettacolo. Nell’ incredulità generale la formazione che prestava alla nazionale austriaca cinque elementi, quella nazionale che era stata capace di vincere in Scozia, cinque a zero, ed uscire sconfitta da Stamford Bridge su uno dei campi dei Maestri inglesi, per quattro a tre, era inchiodata sul nulla di fatto da un manipolo di sconosciuti. Alla loro prima apparizione internazionale. Stoiber, Voigel, Shall, leggende del fussball, austriaco, capaci di segnare raffiche di gol nel torneo nazionale, non avevano prodotto la miseria di una sola marcatura. Il pubblico era ammutolito. Pioveva perfino qualche fischio. Fu in quel momento che Mister Garbutt, che già fremeva per un pareggio a reti inviolate, che rinviava la qualificazione allo stadio partenopeo una settimana esatta dopo, levò via le mani dalle tasche. Perche’ Vojak, l’uomo che giocava con il basco, aveva trovato un varco nel quale infilare un pallone. E su quel pallone si era catapultato Visentin, ala tornante che aveva vinto molto con l’Inter, che si era trovato la strada spalancata verso la porta di Platzer, il portierone del Wunderteam. Visentin era filato via inseguito da quelli in nero e bianco, con la porta che diventava sempre più piccola, man mano che la sua corsa lo portava verso la conclusione. Il pubblico del fortino dell’Admira aveva trattenuto il fiato. Garbutt aveva mosso qualche passo, senza accorgersi che aveva messo ambedue i piedi in campo. Cavanna nel silenzio generale, dalla sua porta, urlò “Vai, Umbertin spacca tei’ la”! Visentin chiuse gli occhi e tirò fortissimo, cogliendo il palo in pieno. La palla scivolò via, verso il fondo, e lo stadio espirò fortissimo. Si ebbe come la sensazione di essere sfuggiti ad un epilogo clamoroso. Mister Garbutt rimise le mani in tasca, mentre Visentin, inginocchiato in terra, si metteva le mani nei capelli. Dagli spalti piovvero fischi all’ indirizzo degli austriaci e la partita terminò zero a zero. Nell’ incontro di ritorno il Napoli sprecò, incredibilmente un doppio vantaggio, facendosi recuperare nei minuti finali da un’ Admira che vide il baratro. Poi ci fu la partita di spareggio, disputata a Zurigo, non esisteva la regola del gol in trasferta, e gli austriaci travolsero gli azzurri, vincendo per cinque a zero. Non ci fu storia. La coppa la vinse poi il Bologna, lo squadrone che “faceva tremare il mondo”. Ma quel pomeriggio viennese rimase nella memoria. Il piccolo Napoli aveva sfidato i giganti. Facendoli tremare. Lo avrebbe fatto ancora molte altre volte. Molte.
Stefano Iaconis