Montella: “Gattuso? Sta facendo bene. E’ un mio amico anche se ci fu uno screzio…”

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Un’intervista con Vincenzo Montella è soprattutto una conversazione. Meglio ancora, un confronto. Non ci sono solo domande e risposte, non esistono solo giornalista e allenatore; c’è piuttosto un insieme di riflessioni che aiutano a scomporre la realtà da angolazioni diverse.  

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Montella non accendeva i microfoni da un anno e mezzo, dalla notte del doloroso esonero di Firenze, guarda caso provocato dalla squadra che più gli è rimasta nel cuore: la Roma, sì. In questo silenzio autoindotto ha gestito con equilibrio la voglia di ripartire. Mettendo in discussione le certezze dell’ex giocatore per migliorare le conoscenze dell’allenatore. L’abbiamo incontrato in un pomeriggio assolato nell’ufficio della Wsa, l’agenzia del procuratore Alessandro Lucci con affaccio mozzafiato sul Lungotevere, in compagnia dell’inseparabile fratello Emanuele. E chiacchierando due ore filate in libertà, tra un caffè e una risata, un occhiolino e una punturina, è emerso l’uomo spigliato e determinato che aspetta l’occasione buona per rimuovere le ultime delusioni. Arriverà presto, l’occasione.

Montella, com’è possibile che sia ancora senza squadra? «Sono fasi che capitano in una carriera. Probabilmente il problema del Covid ha influito. Ma adesso che la stagione sta finendo mi è venuta la voglia di ricominciare da capo. Aspetto un nuovo percorso».

Come ha trascorso i mesi di inattività? «Ho utilizzato il break per crescere. Quando vivi un momento di difficoltà professionale, passi dall’altra parte: migliori il tuo carattere, i tuoi punti deboli. Vedi le cose in maniera più distaccata. E’ un intermezzo fondamentale».

Da fuori: ci sono tanti allenatori più bravi di Montella? «Credo di sì». (sorriso)

Ma come… «Dico sul serio. La vita è fatta di periodi. Ci sono anche le mode. Non c’è problema. L’importante è andare avanti, credendo nelle proprie idee».

La quarantena di Montella è stata… «Felice, per quanto possibile. Ho fatto il papà, ho fatto il marito. Non avevo tanto tempo quando allenavo e avevo sempre la testa al campo. Aver instaurato un rapporto più profondo con i figli è una gioia impagabile».

Parliamo dei figli allora. «Il grande è Alessio, ha 22 anni e si è appena laureato alla Bocconi. Ha giocato nella Roma fino agli Allievi, poi ha deciso che il calcio non era per lui anche se gli avevano preparato il primo contratto. Era un esterno sinistro. Mi impressiona perché ha raggiunto a 20 anni un equilibrio che io ho trovato a 46. Gli altri sono Maddalena ed Emanuele. Li ho chiamati come i miei fratelli. Lei è la principessa, con me vince sempre. Lui, il piccolo, ama il pianoforte grazie alla mamma Rachele. Però mi chiede sempre la maglia di Dzeko, che abita nella mia strada a Casalpalocco».

Il libro di Montella? «Ne ho letti tanti, specialmente nell’ultimo anno. Ho apprezzato un grande classico che mancava alla mia collezione, Il Conte di Montecristo».

Ha apparecchiato un titolo: è pronta la vendetta di Vincenzo. (ride) «Non credo che sarei bravo come Edmond Dantès… Ma la verità è che lo spirito di rivalsa ce l’ho con me stesso, non con gli altri».

Riavvolgiamo il nastro: 19 dicembre 2019, perde contro la “sua” Roma e la Fiorentina la esonera. «Mamma mia, che partita fece la Roma. Un dispiacere. Però non intendo trasformare questa intervista in uno sfogo. E’ uno dei motivi che mi hanno spinto a non parlare per tanto tempo. Se vuole, esprimo un pensiero generale».

Certo. «Guardi l’Atalanta (indica il televisore che sta mostrando gli highlight della partita con la Juve, ndr) Le società migliori hanno la visione. Uno stile, una filosofia. Scelgono un allenatore e gli consentono di esprimere le sue caratteristiche. Se hai i giocatori più forti, non hai bisogno di chissà cosa. Pensi al risultato e stop. Ma se non è così ti serve l’Idea».  

A Firenze che idea hanno? «Commisso ha entusiasmo, prima o poi farà esperienza. Finora ha speso tanto e forse ha avuto meno di quanto si aspettasse. Solo che noi non avevamo un obiettivo specifico: che so, il quarto posto. Volevamo creare un’identità e valorizzare i giovani. Le vittorie iniziali avevano illuso qualcuno che la nostra dimensione fosse quella dell’alta classifica. E così dopo un calo, che c’è stato, ha pagato l’allenatore. Un discorso che ci sta. Però un’altra cosa, sempre in generale, vorrei dirla».

Proceda pure. «Se io guidassi una società, se fossi un dirigente, sosterrei l’allenatore finché posso. E in caso di cambio, lo sostituirei con uno che abbia le stesse caratteristiche. Quando invece sterzi bruscamente, significa che avevi scelto giocatori non adatti alle caratteristiche dell’allenatore precedente. Non vale solo per la Fiorentina, ripeto, fanno in tanti così».

E al Milan che è successo? Certo che con i cambi di proprietà è proprio sfortunato. «Eh, lasci stare. Prima alla Roma, poi al Milan e infine a Firenze. Ma evidentemente non sono stato bravo io a gestire certe dinamiche. Non sono stato attento ai rapporti interni, che contano eccome. Questa è un’esperienza che mi servirà in futuro».

E’ arrabbiato? «Per niente. Al Milan abbiamo vinto una Supercoppa contro la Juve che era quasi imbattibile e l’abbiamo fatto con merito. Va bene così».

Poi Montella al Siviglia, di getto. Il contrario della progettualità. «Mi sono fatto prendere dall’entusiasmo, perché il calcio spagnolo mi affascinava. Ma è stato bello. Breve ma intenso. Eliminammo il Manchester United dalla Champions e l’Atletico dalla Coppa del Re. Purtroppo perdemmo tanti punti in campionato e fummo sconfitti nettamente nella finale di coppa. Il Barcellona veniva dalla sconfitta con la Roma ed era un po’ affamato… Lì la società preferì cambiare».

A proposito di Roma. E di Manchester United. Come finisce la semifinale? «Per me la Roma se la gioca alla pari».

Fonseca però si è snaturato. Ha rinnegato quella che Montella chiama identità. «Contava troppo il risultato. Se affronti l’Ajax con le sue stesse armi magari giochi bene ma poi non passi il turno. Non so se Fonseca meriti la conferma perché i matrimoni si fanno in due. Ma io lo apprezzo, anche per lo stile».

Con Dzeko, Fonseca è stato molto duro. Se Capello si fosse comportato allo stesso modo dopo la bottiglietta di Napoli… «Intanto, io non la tirai addosso a Capello, su. Ma indubbiamente da calciatore ero una testa di cazzo, volevo giocare sempre, soprattutto in quel periodo. Stavamo vincendo lo scudetto e io mi sentivo più forte degli altri. Ma gestendomi in quel modo, facendomi incavolare, Capello seppe tirare fuori il meglio da me. Andai via dalla Roma quando mi resi conto che non mi arrabbiavo più».

Aveva ragione Capello, allora? «No, questo mai. Fabio aveva ragione spesso ma non con me… Scherzi a parte, lui mi stimava e mi stima ancora. E anche io lo stimo. Il suo obiettivo era trarre il massimo dalla squadra, non dal singolo».

La Roma, parole sue, è «un percorso incompiuto». «Due volte. Nel primo caso speravo di rimanere come allenatore e non è stato possibile. Peccato, mi sarebbe piaciuto impostare un progetto dall’inizio. Nel secondo hanno scelto un altro (Zeman),dopo vari sondaggi. Ci lasciammo male perché ci avevo creduto. Sì, nel 2012 mi sentivo l’allenatore della Roma».

Si raccontò di una brutta litigata con Franco Baldini. «Ci furono delle divergenze. Niente di grave, anzi con Franco mi sento ancora. E stimo Sabatini. Sinceramente non ricordo di averli cacciati di casa come si è detto. A distanza di anni comunque ho capito: mi volevano bloccare per evitare che prendessi altre strade, come spesso capita ai dirigenti, e intanto sondavano diversi allenatori. Purtroppo io rimasi con il cerino in mano ma nel calcio succede. E per fortuna mi chiamò subito la Fiorentina, dove facemmo cose straordinarie».

Tornerà alla Roma? «Ammetto che la Roma è una sorta di punto debole. E’ parte di me. Qui ho giocato, vinto, allenato. Magari non è troppo tardi per riprovarci. Ranieri a quanti anni ha realizzato il sogno di allenarla?»

Era il 2009, ne aveva 58. «Ecco, a me resta una decina d’anni per sperare… Ma la prego anche qua, sottolinei che non mi sto proponendo. Lo preciso per due motivi: uno perché Fonseca sta lavorando bene, si è adattato al calcio italiano facendo valere le sue idee, almeno quando la squadra era al completo; due perché se qualcuno avesse avuto il dubbio di telefonarmi, con questa intervista se lo toglierebbe». (e giù a ridere)

Perché gli allenatori alla Roma durano poco? «Fonseca ha resistito già due anni, che non sono pochi. Credo però che nella Roma si avverta il peso delle vittorie che non arrivano. Le aspettative sono alte, si vorrebbe vincere subito».

Montella con i giocatori com’è? «A me piace il confronto, purché sia sempre con rispetto. Ognuno ha il suo carattere. Posso raccontare un episodio con Ribery. Una volta l’ho sostituito e lui si è arrabbiato. L’ho preso da parte e gli ho chiesto il motivo della sua rabbia. Non gli andava giù eh. Allora gli ho detto: “Franck, ho capito perché ti girano: forse volevi uscire prima, me lo potevi dire”. Era un modo per stemperare. Il giorno dopo gli spiegai serenamente che era stanco e che avrebbe rischiato di farsi male. Ora abbiamo un rapporto splendido».  

Restando alla Fiorentina, parli di Vlahovic. Vale davvero 40 milioni? «E’ forte, molto. E ancora non ha espresso tutto il suo potenziale. Sono contento per lui, la sua crescita è un successo che sento un po’ mio».

Montella cosa cerca in una società adesso? «Vorrei essere scelto da qualcuno che apprezza il mio modo di fare calcio. Che è divertimento, identità, valorizzazione dei giovani. Ho imparato ad allenare nel vivaio della Roma, guardavo cassette fino alle 4 del mattino. So quanto sia importante lanciare i ragazzi».

Pirlo è stato lanciato come ragazzo tra gli allenatori. Dà fastidio? «Per niente. Anche io quando arrivai alla Roma avevo lavorato solo con i Giovanissimi. Ogni percorso è diverso. Evidentemente la Juve ha valutato che la persona fosse in grado di allenare. E Andrea ha pensato di essere pronto a farlo. Sui risultati, che dire? La Juventus quest’anno aveva delle lacune nell’organico. Questo può spiegare anche le difficoltà di Pirlo».

Merito anche di Conte, che ha idee diverse dalle sue ma sta vincendo lo scudetto. «Ma guardi che ha Antonio dà una forte identità alle sue squadre. Assumendo lui, sai quello che prendi».

E Gattuso? Zitto zitto è lì a giocarsi la Champions. «Sta facendo bene. E’ un mio amico anche se ci fu uno screzio mediatico quando mi sostituì al Milan. Acqua passata, non torniamoci».

Che rapporto ha con i media? «A me dicono che sono permaloso, forse è vero. Ma lo siete anche voi. Non capite che un allenatore non risponde al telefono non per mancanza di rispetto ma per stanchezza. Se stai 11-12 ore al campo e torni a casa, vuoi passare del tempo con la tua famiglia e staccare la spina. Non ci sono altri motivi. Ma io credo di essere stato sempre chiaro nei rapporti con la stampa. Magari burbero, ma sincero».

Torniamo al panorama. Il suo allenatore preferito? «Klopp. Ora è facile dirlo ma per me era straordinario anche quando non vinceva».

La Nazionale invece sembra in buone mani con il suo amico Mancini.
«Roberto è stato bravissimo in un momento particolare. Ha saputo valorizzare dei giovani interessanti ottenendo risultati rapidi, che di solito raggiungi solo con calciatori esperti nelle squadre di club. Aveva materiale, per carità, ma lo ha anche cercato: pensate a Zaniolo, che ha convocato prima che debuttasse in Serie A».

Forse all’Italia manca un Dieci. «Fino a un certo punto. Il ruolo del 10 è cambiato, i trequartisti sono pochi e spesso si inseriscono negli schemi. De Paul ora gioca interno, per dire. Nella nostra Nazionale c’è Barella: non è Baggio ma ha caratteristiche da campione. Lo stesso Locatelli è giovane ma sta giocando come un veterano».

Nel gruppo azzurro è tornato De Rossi, che ha preso una strada diversa da Pirlo. «Ha il mestiere dell’allenatore nel dna, ha fatto un’ottima scelta. Stando sul campo, accumulerà la giusta esperienza».

E Totti che farà da grande? «Qualsiasi cosa, credo. Dopo aver visto il suo documentario, lo vedo bene anche come attore… Siamo ancora amici: andiamo d’accordo perché non ci sentiamo tanto, siamo due persone riservate. Ci pensano le nostre mogli a tenerci uniti».

Ha visto che farsa la Superlega? «Lo sport è divertimento. Se non c’è competizione al cento per cento, manca un piede della sedia. Capisco che i giovani preferiscano vedere in tv Real Madrid-Juventus perché sono abituati alla Playstation. Ma bisogna valutare chi c’è dietro, i sogni e la poesia di chi aspira ad arrivare con la fatica. E’ meglio che sia finita così. Meglio per il calcio».

A proposito di fantasia, guardando tutte le maglie della scuderia Lucci che sono in questa stanza quale giocatore vorrebbe allenare? «Forse Bonucci. Perché penso che con me giocherebbe meglio di come giocava nel mio Milan». (ride, tanto per cambiare)

Dal fantamercato ai pronostici: Allegri dove va? «Pensavo andasse in Inghilterra. Ora credo Juve o Roma, sempre che questi due club cambino».

Spalletti e Sarri? «Spero all’estero. Almeno c’è più spazio per me».

Non potrebbe andare Montella all’estero? «Magari sì. Ho studiato anche l’inglese, parlo benino lo spagnolo, ho visto tante partite in questo anno e mezzo. Se capita vediamo. Dovrà essere bravo il mio agente, Alessandro (lo indica, ndr). In questo periodo mi è passato qualche treno davanti ma ho avuto la lucidità di declinare».

Perché? «Perché a volte sui treni è meglio non salire».

A cura di Roberto Maida (Cds)

 

 

 

 

 

 

 

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