Lele Adani: «Ogni persona che ha dentro il calcio non può non avere dentro Maradona»
La voce di Lele Adani è diventata oramai da qualche anno una piacevole melodia che accompagna le gare di Serie A, Champions League ed Europa League trasmesse da Sky Sport. Non si limita a commentare, ma ad analizzare. Da ex calciatore, ma soprattutto da appassionato e cultore di una materia che da sempre lo affascina. E al suo occhio clinico e attento non può essere sfuggito il flop delle italiane in Europa.
Come si può spiegare una débacle simile?
«Abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione di quanto il campionato italiano debba crescere dal punto di vista culturale».
In che senso?
«Non ci servono solo i calciatori migliori, ma c’è bisogno di un movimento generale che passi attraverso coraggio, ritmo e gioco offensivo. L’unica squadra italiana che potrebbe vincere la Champions è la Juve: con chi è uscita negli ultimi tre anni? Una portoghese, una francese e un’olandese. Non può essere. Qui in Italia ci diciamo bravi, fuori dai confini ci mandano a casa. Non siamo più il modello e dobbiamo capire che non abbiamo le idee più innovative».
E allora?
«Per fortuna un determinato tipo di lavoro è in corso. Penso all’Atalanta, che onora un certo tipo di calcio ed emoziona tutti. Così come un grande lavoro lo stanno facendo Spezia e Sassuolo. Oggi il calcio l’ha cambiato l’analisi. Studi strategie e cerchi una proposta più coraggiosa per arrivare a un tipo di risultato. Siamo sulla strada giusta».
Si riferisce alla costruzione dal basso?
«Bisogna fare chiarezza: è un modo di dire sbagliare. Basterebbe dire: mettere gli attaccanti nelle condizioni migliori di concludere. Non è palleggiare davanti alla difesa. Nessuno vuol tenere la palla lì per il gusto di rischiare. Poi se ci sono errori negli stop e nei passaggi non è colpa delle idee degli allenatori. Gli errori li fanno tutti. Nel calcio moderno tutti sono costruttori di gioco e assaltatori di spazio. A partire dal portiere. Serve allenare la tecnica: i calciatori si sono evoluti dagli anni 80».
Un esempio?
«Sarri. Ha capito benissimo la strada giusta e infatti in Europa ha vinto col Chelsea».
E poi?
«Mancini che ha allineato la Nazionale alle altre forze europee partendo dal nulla. Mancio ha una grandezza unica. È un uomo di visioni e di letture anticipate. Difficilmente ti può conquistare con un discorso, ma ha un modo di operare, scegliere e leggere le situazione che non deve essere capito: devi fidarti e guardare l’esito. La chiamata di Zaniolo dice tutto. E non a caso Roberto è tra i grandi allenatori italiani che hanno fatto esperienza all’estero».
E Gattuso?
«Mi piacciono le sue idee di calcio e la lealtà della persona. Tre anni fa tra i giovani mi piacevano De Zerbi e Gattuso».
Tutti abbiamo in mente la sua immagine inginocchiata sotto il murales dedicato a Maradona.
«Ogni persona che ha dentro il calcio non può non avere dentro Maradona. Quando tu sei lì al murales, in mezzo alla sua gente, il calcio esce con tutta la sua grandezza e la sua magia. Stare lì nel cuore di Napoli ed essere vicino e unito ai napoletani nel dolore mi ha fatto sentire molto napoletano. Maradona aveva un cuore napoletano. Chi ama il calcio deve passare lì. Maradona è in ogni pallone che rotola. È in tutto ciò che rimbalza. Un regalo del mondo. Dal 25 novembre non c’è un giorno in cui non penso a Maradona. Il suo lascito è immortale».
Dal sacro al profano: che esperienza è la Bobo tv sui social?
«È bella perché quando non hai una tempistica, ti prendi il tempo per essere te stesso. Non ci sono solo gli aneddoti, si va molto in profondità. La bravura di Bobo è stata portare la gente che era fuori nello spogliatoio».
A cura di Bruno Majorano (Il Mattino)