Italo Cucci: “La resa dell’allenatore operaio, ieri Gattuso non l’ho sentito!”

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Italo Cucci parla del Napoli e di Gattuso, di quella che si può definire una parabola discendente nel suo editoriale sul Corriere dello Sport: “Si sente tutto, negli stadi, urla strozzate, imprecazioni, ordini. Gattuso non l’ho sentito. Poche inquadrature, sempre la stessa faccia ruvida di barbaccia giusta per queste ore di dissoluzione di tutto. Rino è sofferente, si vede, ma immagino che non siano tanto i gol di Zapata e Pessina, il buonasera bergamasco, a ferirlo, quanto i pensieri che si mettono in fila secondo importanza. Prima De Laurentiis: censura. Poi il popolo: ah, quanto è mutato da quella sera di giugno quando il Napoli strappò la Coppitalia alla Juve con tripudio sul Lungomare, a piazza Trieste e Trento, via Partenope, Castel dell’Ovo, e i tifosi inebriati cantavano O surdato nnammurato mentre al coro s’aggiungevano De Luca, ‘o presidente (“Un abbraccio particolare, con grande affetto, a Rino Gattuso!”) e ‘o sindaco, de Magistris, pronto a giurare che Ringhio è meglio ‘e Sarri (una bestemmia). E i giornalisti. I giornalisti. Tutti uguali, Rino, guarda com’è sparito Giuseppi dopo quell’apparizione col banchetto a Palazzo Chigi, dalla prima pagina alla polvere, dalle immagini ordinate da Rocco ai meme più insolenti. Quella folla impazzita per il Napoli, per te, sollecitò i menagramo a immaginare una strage da coronavirus, e invece no, miracolo, tutti sani, tutti belli e felici. Ti saresti mai immaginato, Rino, i veleni di questo inverno del loro scontento?  

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Ecco, Tiémoué Bakayoko ha appena sbagliato un gol e Rino si mostra, sembra aver voglia di piangere ma no, non è da lui, è solo congestionato, prova a gridare, rinuncia. Così Lozano fa tutto da solo, un gol di rabbia. Svegliati Rino, ha segnato per te. Fai qualcosa. Cosa? Ma a che serve? Ormai è fatta – pensi – chissà cosa leggerò domani. Se hai memoria, Rino (ma in realtà è un mio peccato di presunzione) un anno fa ti ho dedicato cattivi pensieri. Scrissi che scegliendoti dopo Ancelotti De Laurentiis aveva voluto dare uno schiaffo ai sapientoni e agli estetisti. I sarristi. Quelli che dicevano vincere non è l’unica cosa che conta e adesso t’inchiodano ai gol della Dea, alle mosse di Zapata, quello che il Napoli ha regalato mentre si vedeva che era pieno di gol. Bastava scuoterlo. Aprirlo come un salvadanaio.  
Ti ho sentito dire che ti hanno trattato da pescivendolo: sai, è la nuova corrente di scrivàni progressisti, l’hanno detto anche alla Meloni. Fai come lei, vai sul lungomare e grida “Pesce fresco! Pesce fresco!” Fai vedere che hai le palle. Non i gol. Dov’è Mertens? Senza lui sei solo. Gasperini ride: senza il Papu è tornato al successo. Tu provi Petagna, riciccia Pessina. È finita. E mi sono preso la confidenza di scrutare il volto e immaginare i pensieri di un signore del calcio, un campione del mondo. Vedete, Gattuso è uno che ti vien voglia di dargli del tu anche se non lo conosci. Mentre, mi spiego, Ranieri è uno che ti viene voglia di dargli del lei anche se lo conosci. Non è un confronto fra i due, che faccio. Per l’occasione è solo un pensiero su Ringhio, allenatore operaio. E da qui comincia la sua vicenda umana che evoca a volte il cuore deamicisiano, altre l’arguto cinismo aureliano.  

Italo Cucci  (Cds)

 

 

 

 

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