CdS – Con Benitez, il “visionario” fu salto di qualità, “investì” i soldi di Cavani
Che fosse un visionario, embè, s’era capito subito: «Vedrete che Callejon segnerà almeno venti gol». José Maria Callejon, ventisei anni e alcuni dei quali all’ombra di CR7, s’era spinto al massimo sino alle tredici reti, un primato, perché le ventuno nel Real Madrid Castilla certo non potevano rientrare nelle statistiche comparative. E Rafa Benitez, l’hidalgo della panchina, invece, osando, ci mise la faccia e pure la competenza: perché Callejon gli avrebbe dato ragione. In quell’istante, l’estate del 2013, il Napoli stava nascendo inseguendo nuovi orizzonti, un lancio, un taglio e via verso il futuro, nel quale gli avrebbero fatto compagnia Pepe Reina e Gonzalo Higuain, Raul Albiol e Dries Mertens, Duvan Zapata (ma sì, proprio quello lì) e un’«allure» da perdere la testa. Quando il calcio, a Napoli, per rispetto a Mazzarri che s’era spinto sino alla qualificazione in Champions e poi agli ottavi, pareva fosse rigorosamente inchiodato alla difesa a tre, Rafa Benitez strappò quelle certezze, tolse – con Bigon, il diesse – il velo al mercato e poi ci aggiunse la sua statura, la sua cultura, quel vissuto tra il Liverpool e il Valencia, tra il Chelsea e l’Inter, tra le Champions, l’Europa League e le coppe di ogni ordine e grado da importare in una città «di una bellezza devastante». La riempì di suo, dei suoi paradossi, della sua padronanza (anche) dialettica, delle provocazioni lessicali e «sin prisa, sin pausa», s’elevò (da mago della comunicazione) alla fine di un Napoli-Juventus, infarcito da un gol in fuorigioco di Caceres con un «ci può stare» un po’ ironico e assai subliminale. A Giordano (CdS)