La dinamica più della geometria  la posizione del braccio e del cross.  Così gli arbitri vanno in confusione

A Roma no, contro  il Benevento sì. Rigori in altalena

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La dinamica più della geometria. Addio all’Uomo Vitruviano, sì al calcio giocato. Sarà questa una (possibile) motivazione del perché due arbitri diversi (Maresca domenica scorsa, Sozza venerdì) hanno preso decisioni diverse (no rigore; sì rigore) su episodi pressoché identici, le cui differenze sono da rimandare ad un numero speciale della Settimana enigmistica (della serie “Aguzza la vista”). Il braccio di Tuia più alto, quello di Ayhan più basso, il cross di Lopez da più lontano, quello di Spinazzola da più vicino, la velocità del pallone diversa. Rizzoli e i vertici CAN hanno sentenziato: rigore netto a Reggio Emilia, non a Roma. La verità, come dimostrano anche i fermo-immagine, e che i due episodi sono pressoché sovrapponibili e che tutte queste valutazioni posso essere fatte, appunto, su carta, non certo in corsa, in una frazione di secondo, a capo di una partita condensata di orrori (Maresca) o all’inizio di un’altra che su quell’episodio avrebbe poi vissuto (Sozza). In sintesi: o è rigore sempre (ed è quello che sosteniamo da domenica scorsa) o non è rigore mai (ma Rizzoli e apprendisti vari questo hanno sostenuto giudicando la prestazione di Maresca). Perché altrimenti si ingenerano confusione, discriminazione ed errori continui. Con la conseguenza che le polemiche divampano alla fine di ogni partita, gli animi si agitano e si “moderano” i commenti sotto i profili social ufficiali (vedi AIA).

MOTIVAZIONI. Trovare la risposta al perché ci sia tanta difformità significherebbe svelare il segreto arbitridel Santo Graal, anche se spesso la verità è molto più semplice delle iperboli che servono a provare a giustificare gli errori. Sicuramente, il mondo arbitrale italiano è scosso, in questo periodo, da grandi fibrillazioni, legate alle elezioni di febbraio, ma anche da considerazioni che animano pure i discorsi elettorali. La qualità del pacchetto arbitrale di vertice è scesa parecchio negli ultimi anni, perché le tante uscite eccellenti (Rizzoli, ma anche Rocchi, Tagliavento, Mazzoleni, Banti, etc) non sono state compensate da arbitri di valore che si sono imposti. O perché fatti crescere troppo in fretta (Massa) o perché frenati da limiti caratteriali evidenti (Maresca) o perché troppo discontinui (Guida), nessuno è stato capace di imporsi e di arrivare ai livelli di un passato neanche tanto remoto.

ALLA BASE. Il problema nasce, ovviamente dalla base della piramide. In undici anni, dal 2009 (prima stagione di Nicchi alla presidenza) ad oggi, il numero degli associati è andato prosciugandosi (dai quasi 33mila ai poco più di 28 mila di oggi), i corsi arbitri hanno perso appeal (nonostante sia stato elargito alle sezioni un contributo di circa mille euro la scorsa stagione, totale 207 mila) e iscritti, così che i numeri per scegliere si sono fatti ridotti a fronte di richieste numeriche sempre identiche. Risultato: scelte fatte più sulla base delle necessità che della bravura. Se a questo aggiungente che nelle valutazioni sono entrate anche questioni meramente politiche, il quadro è completo. Riportate questo micidiale mix per tutte le categorie e avrete il quadro completo. Se un arbitro internazionale di vertice (Orsato) concede un’intervista e si permette di esprimere un giudizio sulla squadra della sua città (Vicenza) senza che nessuno alzi un dito, di cosa vi stupite? 

Factory della Comunicazione

A cura di Emdondo Pinna (Cds)

 

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