«Per quello che è stato il mio rapporto di Diego, una parte di me se ne è andata. Spero un giorno di ritrovarci in Paradiso per poter parlare nuovamente insieme come abbiamo fatto tante volte», Beppe Bruscolotti, la bandiera del Napoli, lo storico capitano, grande amico di Diego che diede la sua fascia all’argentino chiedendogli di vincere. «E lui mi rispose che era qui per questo. Poi mi ha sempre ringraziato per quel gesto della fascia, una cosa che ha voluto sempre rimarcare e questo mi ha fatto enormemente piacere».
Diego per lei è stato innanzitutto un grande amico. «Proprio così. La nostra amicizia per tanti anni è stata la cosa più bella, anche delle partite, il nostro rapporto nella vita quotidiana. Diego era una persona fantastica, aveva un cuore enorme e di una straordinaria umanità che ha fatto tanti gesti generosi».
Ritiro di Castel del Piano, luglio 1984, il primo giorno di Maradona: quale fu la sua prima impressione? «C’era tanta attesa di vederlo da parte di tutti quanti noi, da parte dei tifosi. In quei giorni in ritiro cominciai a parlargli del Napoli, della città, della passione della gente»
Il giorno del primo scudetto: ci ricorda quei momenti vissuti al San Paolo con Diego dopo il trionfo? «La sua gioia era indescrivibile, negli spogliatoi si mise a intervistare tutti noi compagni, quello fu uno dei tanti momenti indimenticabili di quella giornata».
Maradona per Napoli è stato il simbolo del riscatto sociale e non solo delle vittorie calcistiche. «Non avevamo ma vinto lo scudetto con lui ci riuscimmo rompendo l’egemonia calcistica del nord, fu una vittoria per tutta la città di Napoli, per tutto il sud».
La vittoria 3-1 a Torino contro la Juve, un altro momento chiave di quel campionato. «Una delle tante vittorie indimenticabili con Diego».
Ci dica la qualità più grande di Maradona? «Incoraggiava tutti, non ha mai osato sgridare un compagno di squadra: quello che mi ha colpito di più di lui era la semplicità di un campione come lui, ma sua umiltà verso tutti gli altri della squadra. Era di gran lunga il più grande di tutti ma non te lo faceva mai pesare».
E poi in allenamento era uno spettacolo unico. «Sì, lo era ancora di più quando usciva dai canoni della partita, faceva cose incredibili, calciava il pallone dal calcio d’angolo appoggiata su una bottiglina, un vero spettacolo».
Le sue magie più belle? «Tante, il gol da centrocampo al Verona, quella su punizione alla Juve quando gli toccò il pallone Pecci: solo lui poteva fare quella parabola, colpì la palla come se fosse una carezza, una pennellata di un grande pittore».
Il suo rapporto con i napoletani è stato un qualcosa di veramente unico. «L’amore dei napoletani l’aveva capito già dalla presentazione al San Paolo, quell’impatto gli rimase, non si aspettava di trovare quel pomeriggio di luglio una presenza così massiccia allo stadio. Quest’amore lo ha ricambiato nel migliore dei modi perché con lui siamo riusciti a centrare traguardi unici mai centrati prima».
In quell’anno 1986-1987 cosa riuscì a dare in più a tutti quanti voi? «La serenità, sapevano che avevamo la ciliegina sulla torta, un calciatore unico che poteva risolvere tante volte da solo la situazione e che dava sempre una mano alla squadra con la sua voglia di non tirarsi mai indietro. Diego non si risparmiava, ha preso botte vere dai difensori ma non gli ho mai visto fare una reazione. Un trascinatore con il suo esempio».
I duelli con Platini? «Lui è stato il più grande di tutti, Dio gli ha detto tu sei il calcio: viene prima lui e poi vengono tutti quanti gli altri».
R. Ventre (Il Mattino)