Per sette anni al fianco di Maradona: “Diego pianse quando andò via”

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«Stavamo percorrendo via Stazio, sulla collina di Posillipo. Gianni, fermati. Diego scese dall’auto, guardò il panorama e ringraziò Dio con le mani giunte per tanta bellezza». Gianni Aiello, 64 anni, è stato al fianco di Maradona dall’84 al 91. Segretario, autista, per un periodo assistente cineoperatore per un film mai realizzato. «Lui diceva di me: è uno di famiglia». Depositario di segreti che un giorno, forse, racconterà in un libro. «Ma di quella storia non parlerò».
La storia della droga? «Negli ultimi tempi capivamo che stava per accadere qualcosa ma quando si presentò Fernando Signorini, il preparatore atletico, con la notizia della squalifica per doping nessuno di noi volle crederci. Diego, piangendo, mi disse: Prepariamo i bagagli, torno in Argentina. E nella notte di Pasqua lo accompagnammo a Fiumicino».
Come diventò il segretario di Maradona? «Nell’84 i primi ad arrivare in città furono il manager Jorge Cyterszpiler e gli altri uomini della Maradona Production. Cercavano un collaboratore napoletano e José Alberti, l’interprete, fece il mio nome. L’ufficio era in via Petrarca, Diego veniva spesso a trovarci. Al quinto piano di quell’edificio fece allestire una palestra».
Durò poco la Maradona Production. «Sì, restammo solo in due: io e Cecilia Pagni, la segretaria che lavorava già a Barcellona. Ci trasferimmo in via Scipione Capece, l’ufficio era in un appartamento di fronte a casa di Diego. Entravo e uscivo a tutte le ore dalla sua abitazione».
Fu facile conquistare la fiducia di Maradona? «Gli parlò molto di me Claudia, la moglie. Diego l’ascoltava. Cominciammo a conoscerci meglio durante la festa del suo primo compleanno a Napoli, sulle terrazze del Virgilio, un locale di Posillipo».
Nella prima pagina di un libro sugli anni con Diego cosa scriverebbe? «L’episodio che accadde prima di Cremonese-Napoli, quando lui minacciò lo sponsor che avrebbe giocato con le scarpe senza marchio se non ne avessero recapitato un paio buone per la neve. Quella multinazionale noleggiò un aereo privato per spedirle. Capisce che forza aveva Diego?».
E poi? «Le feste a casa sua con tanti compagni. Diego, quando mi chiedeva di fare gli inviti, diceva sempre: La prima telefonata all’ultimo dei magazzinieri e poi gli altri. Umile nella sua grandezza».
Di Maradona cosa non si è detto? «Di quanta felicità gli desse una partita anche nel garage di casa. E, se il pallone finiva sotto un’auto, allungava lui il piede. Il sinistro, il piede che ha fatto la storia del calcio. Quella gioia lo ha sostenuto in tutti i momenti».
Ma non lo ha allontanato dalla droga. «Sono stato sette anni vicino a Diego, ha fatto il testimone delle mie nozze con Giuseppina, non lo tradirei mai. Ci sono stati periodi di fortissimo stress, come quella volta in cui lui non partì con il Napoli per la partita di Coppa dei Campioni del 90 a Mosca. Il giorno dopo c’ero anche io sull’aereo privato, lui non vedeva l’ora di arrivare e giocare. A un certo punto avrebbe voluto trovarsi in un’altra dimensione. Il Marsiglia sembrò una buona idea. Ma Ferlaino tenne duro».
Maradona in due immagini alla vigilia dei suoi sessant’anni. «La prima è la festa per il primo scudetto al Virgilio, una location che gli piaceva molto anche perché si giocava a calcetto: finimmo alle sette del mattino. L’altra è l’abbraccio prima di salire in auto e andare a Roma dopo la notizia della squalifica. Io non ho tradito, sussurrò e mi diede le chiavi di un’utilitaria. Il suo regalo d’addio».

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F De Luca (Il Mattino)

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