Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Il capitano di ferro”

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Lo puoi incontrare alle spalle della pensilina dei bus di Viale Augusto. Adesso se ne sta lì, quasi tutti i giorni. Le braccia conserte, il giro vita più largo, appena sotto la cintura, gli occhiali dalla montatura in metallo. Il grigio nei capelli. Non tantissimo. Una spruzzata qui e là. Solo la stempiatura tradisce il tempo che passa. Lo incontri, mentre cammini. Con una crocchia di vassalli che ne ascoltano i racconti. Gli chiedono notizie, e pareri. Gli domandano come ha visto la partita. Pendono dalle sue labbra. Lì, fuori dal suo punto giochi, frequentatissimo. Dove si parla esclusivamente di calcio. Del Napoli. Del suo Napoli. Perchè il Napoli sarà eternamente suo, ne indosserà la maglietta per sempre. Chissà, forse Giuseppe Bruscolotti da Sassano con quella maglietta ci dorme. E sogna. Ricordando. E quando ricorda tutti si pongono in circolo, ed ascoltano. Perchè lui, il capitano, racconta di storia. Una storia infinita, lunga quasi un ventennio. Costellata di episodi, di aneddoti, che attraversano ere diverse. Epoche di un disagio palpabile, momenti bui, tristi, poi accesi da luci intermittenti. Fino a Lui. Maradona. E quando racconta di Diego, la mascella, la celebre mascella che non mutava mai espressione, ha un guizzo. E gli occhi luccicano.Segnó Laudrup” fa con quella sua voce che pare masticata, cantilenante, con una venatura che la fa apparire il letto di un torrentello, fresca, figlia di un dialetto, quello di Sassano, mai perso. Parla come un fanciullo. Senza orpelli. Il capitano che ha Napoli nel cuore, ma conserva intatte le sue origini. Di uomo rude, vero. Di ferro. “Segnò Laudrup, e Diego si tirò su le maniche, ed andò verso il centrocampo, con il pallone sotto il braccio. Non uscirono più dalla loro area, noi sembravamo venti, trenta. Loro undici appena. Vincemmo 3 a 1. Lo stadio era tutto azzurro”. Racconta leggende, quelle che hanno fatto il Napoli grande. “Quel giorno di maggio che vincemmo lo scudetto, camminavo per il campo, e guardavo sopra. Gli spalti. La gente era impazzita, piangeva. E allora mi misi a piangere anche io. Lo avevo solo sognato che potesse succedere. Come se mi fosse nato un figlio”. E gli domandi di Rensenbrink, il dioscuro. Quello che lui annientò quel pomeriggio con l’Anderlecht. Quello nel quale decise lui la semifinale di andata della coppa delle coppe del ’77. Il suo gol più importante. “Gli dissi, se passi la metà campo, io ti faccio male. Lui la passò, io lo stesi. Quando lo vidi rientrare, con la testa fasciata, pensai, questo non ha capito niente. Gli detti un’altra botta. E non si mosse più. Ad un certo punto gli feci, io vado un momento di là, tu non ti muovere”. E ghigna, mentre tutti ridono. La mascella immobile. Poggiato ad una recinzione in ferro che circonda una minuscola aiuola verde. Ferro come di ferro era lui. Lo è ancora, lo senti quando ti stringe la mano. Una stretta come una morsa. In ferro. E se gli domandi dei difensori di oggi ti guarda, fa una alzata di spalle e va via. Perchè lui è figlio di un calcio antico. Dove uomini simili a pali indistruttibili, atterrivano attaccanti del calibro di Pruzzo e Rummenigge, di Elkjaer e Joe Jordan. Gente che in area di rigore le prendeva e le dava. E poi si usciva dal campo assieme. Perchè il football, un tempo era lotta, ardimento, e cavalleria. Anche dentro un occhio nero. È contento che Hamsik gli abbia rubato il record di presenze con la “sua” maglia. “E’ un bravo ragazzo. Era fortissimo, uno dei più forti mai visti. Ma lo avrei fatto girare al largo subito”. E giù sorrisi intorno a lui. Lui che incrocia le braccia ancora possenti. E va via. Improvvisamente, chiamato da qualcuno. “Capità te vonno ‘a telefono”. Già capitano. Perchè essere capitano, il capitano, gli appartiene per diritto. Anche se un giorno disse di Diego: “Gli ho detto, tu mi porti lo scudetto ed io ti do la fascia”. Ma quella resta sua. Del capitano che sul Viale Augusto, il viale dei trionfi, racconta storie di capitani coraggiosi.

Factory della Comunicazione

a cura di Stefano Iaconis

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