Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Il mostro”

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Dopo di lui non si vide mai più nessuno così. Restarono i suoi minuscoli baci, soffiati in punta di dita verso gli spalti dopo ogni sua marcatura. E la eco del suo pestare il prato, con quella cadenza mulinante, turbinante, i capelli come una tenda rigonfiata dal soffio del vento, che gli si sollevavano sulle spalle possenti, ed il ricordo dei suoi gol. Tutti diversi. Impossibili da dimenticare. 104 reti. Quelle che Edinson Cavani realizzò con la maglia del Napoli. Dopo di lui non ci fu più nessuno così. Nemmeno Higuain, che pure fu centravanti purosangue e ricamò perle di calcio in una città che le chiude nello scrigno del tempo. Cavani, il mostro. Come lo chiamò una volta un telecronista Sky. La notte che fece quattro gol allo Zenit. Apparendo inarrestabile. “E’ un mostro! E’ un mostro!” Gridava come un ossesso. Perché Edinson era un mostro. Un prodigio. Un dioscuro. Un dio del tuono. Scioglieva incantesimi dentro lo scoccare delle sue conclusioni. Un mitologico Polifemo dalle possenti fattezze, con il suo occhio puntato verso la porta avversaria. Aveva il dono di possederne la mappa, quella che conduceva all’, essenza del gioco, finalizzando ogni azione dentro la sua incredibile capacità di sapersi infallibile. Cavani era semplicemente immarcabile. Il supplizio di qualunque difensore. Tendeva agguati aggirandosi in mezzo al folto dell’area di rigore. Ghermiva la palla a qualunque altezza. La fiutava. Lei andava da lui come fosse calamitata dalla sua persona. Sapeva domarla. Il suo gol al Lecce, che resta la copertina maestosa di cosa sia stato l’ uruguagio e quale impronta abbia lasciato nella storia del calcio Napoli, resta lì. Un dipinto dinanzi al quale ammutolisci di piacere. Cavani si impadronì della sfera nella sua area, un lacoontico pantano sferzato dalla pioggia, dopo un salvataggio sulla linea di Grava, e partì verso la porta dei pugliesi. Era il novantunesimo e la fatica inenarrabile, accumulata lungo una partita funestata dal maltempo, nella quale il Lecce avevo difeso con i denti il prezioso zero a zero, pesava come un fardello. Edinson percorse sessanta metri, bighellonando lungo la fascia, saltando avversari ormai fermi, accentrandosi, cavalcando la sua incredibile, inaudita forza fisica. Attingendo da una riserva divina. A trenta metri dalla porta scatenò il suo sinistro. Uno strale violento. Un proietto. La palla si infilò nel sette. Il Napoli vinse la partita. Fu epico. Come era epico Cavani. Dopo di lui, no, nessun altro così. Gli dei non abitano più qui.
a cura di Stefano Iaconis

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