Fabio Capello: “L’impronta a questo campionato? Un misto di Insigne/Gattuso”
Fabio Capello, l’ex tecnico di Roma e Juventus, ai microfoni del CdS analizza il momento del Napoli di Gattuso e parla di Lorenzo Insigne e infine del lockdown.
Questo calcio dopo il lockdown, il calcio della settimana imbottita di partite, le piace? «Ma sì che mi piace. Era l’unico sistema per ripartire».
Si gioca al modo di sempre o vede differenze? «La differenza principale sta nella mancanza del pubblico. Il pubblico spinge a dare un quindici-venti per cento in più. Il prossimo passo verso la normalità dev’essere riportare la gente negli stadi. Poi c’è una novità che mi terrei stretto».
Quale? «Le cinque sostituzioni. Un bene siano state confermate per la prossima stagione. E’ un aiuto per i tecnici, un modo per far sentire tutti più coinvolti. E dopo lo stress che i giocatori stanno sopportando adesso, la settimana imbottita di partite come dicevamo, sarà uno strumento indispensabile per recuperare».
Torniamo all’inizio. La Juventus sembra stentare un minimo. Come finirà il campionato? «Come di consueto, penso. La Juve appena sente il pericolo accelera. La situazione in classifica dà un po’ di speranza alle altre, nulla di più. Sei punti di vantaggio per una squadra così sono tanti».
Qualche difficoltà la Juve sembra accusarla. «Probabilmente capita che sottovaluti gli avversari e si convinca di poter vincere le partite senza faticare. Del resto l’avversario in partenza doveva essere l’Inter, per gli investimenti effettuati, per l’allenatore scelto. E l’Inter sta venendo fuori adesso. La Lazio si è sciolta, il Milan non era competitivo, l’Atalanta sta andando oltre sé stessa e insomma anche quest’anno la Juve di fatica ne fa poca».
Che cosa è mancato all’Inter? «L’allenatore aveva bisogno di un po’ di tempo per capire dove fosse finito e conoscere le altre squadre. Però i soldi spesi sono tanti. Francamente credevo che già in questa stagione avrebbero interrotto il ciclo della Juventus».
Conte non è uno che ami portare pazienza. «Fino a poche giornate fa, prima che Lazio e Juve rallentassero, mancava poco che per l’Inter si parlasse di fallimento. Adesso siamo di nuovo alla rincorsa scudetto. Siamo legati all’effimero dei risultati, però con le gare ogni tre giorni non fai in tempo a pensare qualcosa che i fatti ti smentiscono».
Avevano preso Eriksen per dare maggiore flessibilità al gioco, poi lo hanno tenuto in panchina. «Platini, che era Platini, ha impiegato sei mesi a rendere in Italia. Dipende da tante cose. Inoltre è diverso giocare dietro le punte in Italia, in mezzo al traffico, e all’estero, dove ti lasciano più spazio. Diamo retta ai tecnici, che sono gli unici a vedere i giocatori tutti i giorni».
Quindi sarà l’Inter, in futuro, a cambiare la storia del calcio italiano? «Penso di sì. E’ il club più vicino alla Juve, in termini di risorse economiche. Ripeto, io pensavo che ci sarebbe riuscita già quest’anno».
La Juventus in teoria è stata costruita per la Champions League. «Lo scudetto lo davano per vinto, l’obiettivo è la Champions. Però è difficile. Ci sono grandi squadre, grandi allenatori, grandi mentalità. E’ una corsa lunga e complicata. E ci vuole fortuna. Mi cito: palo dentro e palo fuori, il bivio sta tutto qui».
Perché scegliere Sarri per metterlo subito in discussione? «Sostituire il tecnico dopo un po’ viene naturale. Anzi, è l’allenatore che dopo cinque anni non riesce più a dare quel che dovrebbe. Lo so per esperienza. Il mestiere diventa quasi routine, per quanto ci si inventino cose nuove, nuove idee, nuovi metodi di preparazione. Il nucleo della squadra rimane lo stesso, gli stimoli s’indeboliscono. E’ diverso per il calcio inglese, dove fai il manager e sono i coach a condurre le sedute. Infatti in Premier i coach vanno e vengono. Non c’è dubbio comunque sia stata la Juve a cambiare Sarri e non il contrario. Lui voleva giocatori fatti per il suo calcio e là non li ha trovati. Ha dovuto studiare un assetto capace di valorizzare le caratteristiche dei giocatori. Che poi è il lavoro dell’allenatore».
Non si va lontani con un solo sistema in testa. «E’ come la balla della difesa a tre, che in realtà è una difesa a cinque. Ma pochi, e uno è De Zerbi, lo dicono perché passare per difensivisti non fa fine. Schierando di tanto in tanto la difesa a cinque ho vinto il campionato nella Roma: tre in mezzo, Cafu e Candela sulle fasce».
Che cosa è successo alla Lazio? «Un bel mistero. Era fresca e veloce, non lo è più. Secondo me l’infortunio di Lucas Leiva ha cambiato le regole del suo gioco. Era il giocatore che dava equilibrio a tutto il complesso e filtro davanti alla difesa».
Rosa corta? «Se si lamenta della rosa Inzaghi, devono lamentarsi praticamente tutti gli altri allenatori della Serie A».
La grossa novità è l’Atalanta. «Fino a un certo punto. Sono due anni che gioca così, l’allenatore è molto intelligente e ha messo insieme un gruppo di calciatori perfetti per la sua filosofia: coraggio, dinamismo, sacrificio da parte di tutti. Così riesce a mettere in risalto anche le individualità. Gasperini sa pure cogliere di sorpresa gli avversari piazzando i suoi in posizioni imprevedibili. Perché studia le altre squadre».
Certi giocatori sembrano rendere solo a Bergamo. «Una cosa è giocare in provincia, in una realtà dove tutto funziona, dalla società all’allenatore, un’altra è andare in un club in cui puoi sentirti isolato e perderti».
Un rischio che corre anche Duvan Zapata, adesso che lo vuole la Juventus? «A Bergamo, Zapata ha semplicemente mostrato ciò che ha dentro. Io lo avevo chiesto allo Jangsu Suning quando ero in Cina. Ha il potenziale per fare la differenza. Non so se sia adatto a una squadra di dimensione più ampia. Dipende dalle idee dell’allenatore».
Chi è il giocatore che sta dando un’impronta a questo campionato? «Indicherei una combinazione di giocatore e allenatore: Insigne e Gattuso. Insigne giocava solo aspettando la palla, ultimamente si sta dimostrando un vero capitano. Per me è una sorpresa. Aggiungo che Dybala sta facendo cose che riescono solo ai grandi».
Le romane ancora una volta assistono da lontano alla volata. «Della Lazio abbiamo detto. Quanto alla Roma, a me piaceva l’impostazione che Fonseca aveva dato alla squadra. Credo sia mancato molto Zaniolo, talvolta devastante per potenza e qualità. Bisogna avere idee chiare e scegliere gli uomini giusti. Io chiesi a Sensi un solo sacrificio: acquistare Batistuta. Funzionò. Le rivoluzioni servono a poco. So chi sa scegliere i giocatori e chi no. Quando ero al Milan mi fidavo solo di Braida».
C’è un’altra particolarità in questo campionato singolare: la frenesia di fischiare calci di rigore. «Lasciamo stare. Se ne vedono di incredibili. Il braccio lagro, il volume del corpo, ma dai. Adesso con gli stadi vuoti, nel silenzio, i giocatori si sono messi a urlare. Quando allenavo accadeva con le neopromosse. Dicevo agli arbitri: qui c’è una frattura a ogni contrasto. Anche i giocatori che vengono dal campionato inglese hanno capito il trucco e si buttano in terra. Fossi un direttore di gara mi sentirei preso in giro. Invece li premiano».
Con il Milan come la mettiamo? «Ora gioca bene, ha calciatori giovani e di valore, un bravo allenatore, gente competente cone Maldini e Massara. Chi è cresciuto, chi ha trovato la posizione giusta in campo. Due o tre inserimenti di un certo livello e potrà diventare competitiva».
Invece mandano via Pioli e prendono Rangnick. «Infatti perdono un altro anno».
Marco Evangelisti (CdS)