Gianfranco Zola: “Mi rivedo in due azzurri. Gattuso può fare la storia”
Da quasi tre mesi, 21 marzo, è in quell’angolo da sogno della Sardegna: Puntaldia, il suo rifugio.
Gianfranco Zola, il campione che raccolse a Napoli la 10 da Maradona nel 1991 e che è ancora una star per il popolo del Chelsea dove giocò fino al 2003, racconta una lunga e serena quarantena. «Perché per la prima volta ho tutta la famiglia con me. È accaduto anche in passato, certo, ma ero qui soltanto fisicamente perché mentalmente preso dal lavoro di allenatore. Adesso sono fermo e, anche se continuo a studiare per migliorare e crescere, posso dedicare tutto me stesso agli affetti più cari. Un bel periodo, per questo motivo. Lo so, è una visione personale ed egoistica considerando i tempi che viviamo».
Il calcio ha ripreso. Ma come?
«Non è ancora al cento per cento il calcio che conosciamo. I ritmi sono un po’ bassi e manca una componente molto importante come il pubblico. È l’inizio, ci vuole pazienza. Era fondamentale ripartire, il ritmo partita e il tifo arriveranno. Capiremo nelle prossime settimane se è stata corretta la tempistica».
C’è stata una corrente contraria alla ripresa, almeno fino alla scorsa settimana.
«Il calcio rappresenta un’importante componente sociale per il nostro Paese: non dimentichiamolo».
Le due semifinali di Coppa Italia sono state differenti: calcio vero in Napoli-Inter, al di là di comprensibili difficoltà fisiche, non in Juve-Milan.
«È accaduto per una differenza di valori in campo, credo, perché al Milan mancavano giocatori importanti. Napoli e Inter, invece, erano al completo e hanno così dato vita a una sfida aperta».
E domani a Roma c’è la finale, a poche ore dalle semifinali: quanto può incidere la fatica delle partite di venerdì e sabato?
«Quando trascorri tanto tempo senza giocare, ti alleni ma il ritmo non è lo stesso. Niente ti prepara come la partita. I giri del motore sono differenti, tra allenamenti e gare, specie se si tratta di sfide che assegnano un trofeo. Ci vuole un forte spirito di adattamento da parte di allenatori e calciatori».
Nella classifica ferma al 9 marzo ci sono 24 punti di differenza tra Juve e Napoli: si faranno sentire all’Olimpico?
«È una finale molto equilibrata, il campionato è un discorso distante da questa sfida. La Juve ha grandi campioni e grande organizzazione, dall’altro lato c’è il Napoli che ha ritrovato la compattezza con Gattuso: difendono tutti e bene, una caratteristica tipica delle squadre di Gennaro. E trovare spazio per la Juve non sarà semplice, specie dopo il rientro di Koulibaly».
Il 4-3-3 di Sarri non è quello di Gattuso.
«Diversi, sì. Non so se Gennaro riproporrà i tre piccoli là davanti: è una formula che mi piace, se dovesse decidere di difendere più basso potrebbe usare meglio il contropiede. E la Juve, per la sua impostazione, è abituata ad attaccare alto per provare a chiudere gli avversari nella loro metà campo. La rapidità e la velocità di quei piccoli là davanti rappresentano un valore aggiunto e si è visto nell’azione del gol del pareggio contro l’Inter».
Mertens e Insigne: in chi si rivede Zola?
«Un mix di entrambi, va bene così? A Napoli io giocavo da centrocampista dietro le punte, poi a Parma ho ripreso il ruolo di seconda punta. Sono calciatori che entusiasmano e poi Mertens è entrato nella storia con quei 122 gol: un grande onore».
Lei, però, ha detto in un’intervista a Repubblica che avrebbe voluto «duettare» con Cristiano Ronaldo.
«Ma anche con Messi, se è per questo: campioni di tale livello avrebbero esaltato le mie caratteristiche. Non mi è andata male, ho giocato con Diego…».
È stato per un anno il vice di Sarri al Chelsea: stagione difficile, anche se conclusa con la qualificazione Champions e la vittoria dell’Europa League, perché ci furono polemiche intorno alla panchina. Sta accadendo lo stesso a Torino. Perché?
«Le aspettative sono molto alte alla Juve, un ambiente esigente dove vincere non è sufficiente. La squadra ha fatto bene, però si pretende un gioco d’attacco più fluido e una maggiore supremazia. Penso che sia una questione di tempo per Sarri».
In che senso?
«Il valore del lavoro di Maurizio emerge nel secondo anno perché cura molto, e in modo ripetitivo, i dettagli, dunque i tasselli devono essere rodati. Ha bisogno di fiducia e tempo».
Lei ha detto che al Chelsea c’erano calciatori come Hazard e Willian che si annoiavano per la ripetitività degli allenamenti di Sarri.
«Non tutti i calciatori interpretano allo stesso modo l’allenamento. Chi come Maradona, Careca, Hazard vince quasi da solo le partite è abituato a intenderlo in un certo modo: non vuole pensare troppo, ha voglia di divertirsi ed emozionarsi, quella è la ragione per cui gioca a calcio e lo ama. E posso capirlo perché anche a me piaceva avere molto la palla al piede. Altri calciatori, invece, hanno bisogno di quella ripetitività per migliorarsi e calarsi nell’organizzazione di squadra. Chi la pensa differentemente, talvolta si lamenta, però da Hazard e Willian avemmo un supporto straordinario in una fase delicata».
Gattuso può aprire un ciclo vincente alzando al cielo domani sera la Coppa Italia?
«L’esito di una finale può dipendere da differenti fattori. Per l’affetto che provo verso il Napoli e Napoli mi auguro che Gennaro possa far crescere la squadra e avvicinarla a quegli obiettivi che la piazza merita, anche se la concorrenza è molto forte. Ha fatto già un lavoro di rilievo con la sua serietà, la sua concretezza e la sua personalità: ha dato equilibrio al Napoli, lo ha reso quadrato e questo occorreva, con tutto il rispetto per Ancelotti. È arrivato al momento giusto e ha fatto un’opera da manuale».
Non è ancora finita, però: dopo la Coppa Italia ci sarà il ritorno di Champions League a Barcellona.
«Affrontarlo con l’1-0 sarebbe stato differente, invece il Napoli dovrà andare al Camp Nou per fare la partita, per cercare il gol e la qualificazione: non sarà facile».
Trent’anni dal secondo e ultimo scudetto: lei era arrivato da pochi mesi a Napoli.
«Fu una fortuna trovarmi in quel gruppo, in un altro momento storico per la città a tre anni dalla prima vittoria del campionato. Un calciatore che ha vissuto quell’atmosfera non può che augurarla a chi oggi indossa quella maglia e siede su quella panchina».
Come vede il futuro del calcio?
«La pandemia ha cambiato tutti gli equilibri, non riesco ad immaginare la dimensione del mondo, non solo quella del calcio. Penso che si dovrà puntare sulle risorse locali, vale per il nostro settore come per le altre aziende. È il modo per difendere il patrimonio italiano e il futuro. Dunque, prestare più attenzione ai vivai. Questa può essere l’idea e un magnifico esempio è dato dall’Atalanta, che ha avuto sempre questo obiettivo di crescita dei giovani, arrivando a straordinari risultati nelle ultime stagioni. Ecco, è la strada che tutti potrebbero seguire». A cura di F. De Luca Fonte: Il Mattino