Roberto Bordin: “Gattuso? Ormai è un napoletano adottato. Simoni era un allenatore papà”
L'ex capitano del Napoli del '97 ai microfoni de "il Mattino"
26 febbraio 1997, il Napoli si gioca il passaggio alla finale di Coppa Italia nella gara di ritorno contro l’Inter, una sorta di flashback in vista di stasera, con l’unica differenza nel punteggio dell’andata, perché stavolta gli azzurri partono dallo 0-1 conquistato al Meazza prima del lock down per il Coronavirus mentre il primo round al Meazza allora era finito 1-1. Capitano della squadra – che vinse ai rigori ma poi perse in finale col Vicenza .
Roberto Bordin che a distanza di 23 anni ricorda perfettamente quella serata.
Il primo fotogramma della partita?«Il muro azzurro di tifosi. Erano tantissimi, quasi 80 mila e ci spingevano come non mai».
Un fattore campo che invece stasera sarà azzerato per l’assenza di pubblico.«Certamente sarà un problema per il Napoli perché i suoi tifosi sono unici. Però stavolta la squadra di Gattuso potrà fare affidamento sul risultato dell’andata».
Ma ci dica del pubblico di quella sera del 1997… «Già dopo la gara di andata sapevamo che la finale ce la saremmo dovuta guadagnare in casa. E il pubblico fece la sua parte con quella spinta unica. Sembrava che ogni nostra azione potesse essere quella buona per sbloccare il risultato».
E invece a passare in vantaggio fu l’Inter con Zanetti.«Psicologicamente fu un brutto colpo perché sapevamo che in quel momento eravamo fuori, mai tifosi ci aiutarono e ci spinsero fino al pareggio di Beto nella ripresa».
Poi i calci di rigore.«Là il pubblico si superò: noi ci sentimmo invincibili, mentre loro subirono troppo la pressione».
Errore di Paganin dal dischetto e Napoli in finale. Lei però non calciò nessuno dei 5 rigori,come mai?«Per scelta non ero nella lista dei rigoristi».
Perché?«Nonostante fossi il capitano feci un passo indietro e penso che anche quella sia una caratteristica che ogni leader deve avere. Non è detto che siccome sei capitano devi calciare un rigore. La testa può fare brutti scherzi. E poi sapevo che i miei compagni erano bravi dal dischetto e quindi ero sereno percome sarebbe andata».
Alla guida del Napoli in quella semifinale c’era Gigi Simoni, l’allenatore scomparso il 22 maggio: che rapporto avevate?«Simoni ci faceva stare sereni. Era un allenatore-papà. Aveva una grande conoscenza calcistica e ti faceva notare tutto come se fossi suo figlio. Instaurava un rapporto schietto e diretto con i giocatori,ma rimanendo sempre molto sincero e gentile. Diceva sempre tutto con pacatezza».
E lei, invece, che capitano era? «Parlavo poco. Diciamo il giusto. Anche perché nello spogliatoio c’erano anche altri giocatori con maggiore esperienza e mi piaceva che ci fossero più leader. Poi magari se c’era qualche ragazzo più giovane o più emotivo che sentiva di più la pressione, magari cercavo di dirgli qualcosa per tranquillizzarlo: per me il capitano di una squadra è importante, ma ci vogliono tanti altri leader in uno spogliatoio».
Veniamo al presente: dopo l’avventura al Neftci Baku è in attesa della chiamata giusta e intanto studia dagli allenatori di serie A, che impressione ha avuto di Gattuso?«Mi è piaciuto molto Cannavaro che lo ha definito “napoletano”. Ha ragione, perché Gattuso si è calato subito nella parte in maniera incredibile. È un tipo molto diretto, forse anche un po’brusco,ma fa bene. Mi piace il suo approccio con i giocatori che infatti lo capiscono al volo. Era uomo spogliatoio da calciatore e lo è anche oggi da allenatore. Lui era un leader senza essere capitano».
Fonte: Il Mattino