Amir Rrahmani: “Napoli? Un club che ha ambizione di arrivare fino in fondo. Devo fingermi sordo da tutti questi complimenti”
Rrhamani parla del presente ma anche del suo futuro in azzurro
A gennaio Amir Kadri Rrahmani è stato acquistato dal club partenopeo ed è in prestito all’Hellas sino alla fine della stagione:«Sono grato al Verona, però ho colto l’opportunità di giocare in futuro in una squadra che ha l’ambizione di lottare in tutte le competizioni».
Capitano della Nazionale del Kosovo Amir Kadri Rrahmani 26 anni, difensore del Verona in prestito dal Napoli e della Nazionale kosovara della quale è capitano Ha giocato anche due gare con la Nazionale albanese (avendone la cittadinanza) nonché nelle sue selezioni giovanili.
Dopo due mesi e mezzo terribili, a Rrahmani cosa resta? «La sensazione della tragedia. Onestamente, come altri, inizialmente non ho avuto la percezione della reale portata del dramma. Pensavo che nel giro di un paio di settimane le cose sarebbero tornate come prima. E invece, poi è emersa tutta la gravità della situazione. La situazione sanitaria attuale lascia ben sperare, non è ancora arrivato il momento di abbassare la guardia, ma finalmente si può tornare a giocare».
E voi del Verona siete stati coinvolti, con Zaccagni che ha contratto il virus. «Ho parlato con lui, ovviamente, e tanto. La positività lo ha inevitabilmente spaventato, ma i sintomi non hanno mai alimentato paura e in pochi giorni Mattia è stato immediatamente meglio. Dal Kosovo sono arrivate buone arrivavano notizie, perché abbiamo avuto pochi casi. Ma ora inseguiamo tutti quella normalità di cui si ha bisogno».
Cosa si aspetta da questa nuova vita? «Ora che si ricomincerà, sarà impossibile avere gente allo stadio: con il Verona abbiamo già saggiato a Genova, prima che venisse bloccato il campionato, questo calcio surreale, meno emozionante, ma va affrontato così, non se ne può fare a meno. Ci confronteremo con abitudini con le quali dovremo convivere, aspettando di poterci riappropriare di quelle vecchie».
Avrà avuto modo di apprezzare altro. «Ho avuto tempo per leggere, per guardare la tv e qualche film, per giocare. Ma adesso preferisco riprendere i ritmi di un tempo e rifare tutto quello che ci era consentito prima del virus».
Che quarantena è stata la sua? «Ho potuto dormire di più ed allenarmi in modo insolito, inaspettato, come tutti i calciatori: tapis roulant, palestra casalinga, esercizi da fermo. E poi un blitz ogni sette giorni per fare la spesa».
Se ne sta andando un anno calcisticamente straordinario. «Per me e per il Verona, che come club e come città meritano la serie A. E’ stata una stagione particolare, siamo riusciti a cogliere risultati di valore ma siamo anche consapevoli che il successo più importante sia la salvezza e il campo ha detto, finora, che siamo nelle condizioni di riuscire a raggiungere questo traguardo. Io, invece, chiedo a me stesso ancora di migliorarmi: sono esigente, persino severo, e so che posso riuscire a far vedere qualcosa in più. Devo continuare a fingermi sordo dinnanzi ai complimenti e continuare a lavorare per crescere ulteriormente».
Cosa le manca? «I punti che ci garantiscono l’aritmetica permanenza in serie A. Non sono tanti ma li vogliamo conquistare nel più breve tempo possibile. E al resto, eventualmente, penseremo poi. Non mi va di parlare di Europa League, perché ora che si rientrerà in campo sarà come cominciare un nuovo campionato: è stata una sosta lunghissima, che rischia, rispetto ai primi sei mesi, di rivoluzionare il rendimento di chiunque».
Ci penserà Juric. «E non ho dubbi, perché lui è sempre, e per ventiquattro ore al giorno, concentrato sul lavoro. Sta lì, pensa alla squadra, ai singoli, agli avversari da affrontare, alle soluzioni da adottare per vincere le partite. Ha metodo e trasmette sicurezza. Gli sono grato per ciò che mi ha trasmesso, per avermi insegnato a giocare nella difesa a tre, che non conoscevo come sistema, e so che da lui devo ancora imparare. Mi ha spinto ad attaccare, come creare superiorità numerica e come aiutare gli attaccanti. Ha fatto di me un difensore moderno, che ha voglia ancora di imparare».
Verona l’ha eletto a idolo. «Verona è straordinaria, combina la passione per il calcio con la fedeltà assoluta per la squadra. E c’è folla nei grandi appuntamenti come in quelli di minor richiamo. Sono stato due anni alla Dinamo Zagabria, altra tifoseria caldissima: ma lì l’attrazione per il campionato pareva inferiore a quella per l’Europa League».
Ha fatto in fretta a imporsi in Italia e a spingere il Napoli a un sacrificio economico rilevante.
«Quando sono arrivato, avevo un solo obiettivo: dare il massimo per sapere da me stesso quali fossero i miei limiti. L’interesse del Verona è stato inaspettato, ero in trattative con altri club stranieri, ma dinnanzi all’offerta di Setti ed alla possibilità di venire in Italia ho lasciato cadere qualsiasi altro discorso. Perché soltanto la serie A mi avrebbe potuto dire quale fosse il mio reale valore».
E infatti, in meno di un anno, il prezzo di Rrahmani è lievitato. «Ma io sono bravo ad isolarmi, a scacciare qualsiasi tipo di distrazione. La proposta del Napoli non ha modificato il mio atteggiamento e quando ci fu l’offerta ne parlai subito con Juric: mi volle parlare, mi disse che se avessi accettato avrei dovuto poi garantirgli e promettere identico rendimento. Penso di essere stato di parola. Io conosco un solo metro di comportamento: la professionalità, che ovviamente include l’impegno».
Cosa significherà Napoli per Rrahmani? «Ho rispetto per il Verona e mi crea imbarazzo persino dover parlare in questo momento di una vicenda che apparterrà al mio futuro. Io qui sono stato benissimo e il giorno in cui dovrò andare via, vorrò salutare nel modo più giusto. Ma sono anche un professionista e a me è capitata la possibilità di andare a giocare in un club che ha l’ambizione di arrivare in fondo a tutte le competizioni. È una opportunità che ho afferrato con soddisfazione ma senza dimenticare chi mi ha consentito di poterla cogliere».
Pregi e difetti: chi è Rrhamani? «Modestamente, penso di essere tatticamente intelligente, di saper leggere anche in anticipo le varie situazioni che propone una partita. Mentre devo migliorare in fase offensiva, sulle palle inattive, perché di testa potrei segnare più di quanto sia riuscito a fare sinora».
Un anno di Rrhamani: la miglior partita giocata ma anche la peggiore…
«L’1-0 contro la Fiorentina, senza rischiare nulla contro attaccanti molto forti, mi fa pensare che sia stata la prestazione più appagante. Mentre vorrei giocare la gara con il Torino: vero, siamo stati capaci di chiuderla sul 3-3 dopo essere stati sotto per 3-0 e questo sa di impresa eccezionale. Ma abbiamo concesso dei gol…».
Lo sport per lei non è solo il football. «E infatti sospetto che se non fossi stato un calciatore, sarei diventato cestista o tennista, che sono le altre mie passioni».
Giocatore-modello. «Paolo Maldini su tutti. Ma non nascondo di aver avuto un debole per Vermaelen quando giocava nell’Arsenal».
L’attaccante più difficile da marcare? «Faccio tre nomi: Cristiano Ronaldo, Gervinho e Boga».
A cura di Giordano-Ramazzotti (CdS)