Carnevali: “Non ci diano un contentino se non vogliono farci ricominciare”
Giovanni Carnevali ricopre dal 2014 il doppio ruolo di amministratore delegato e direttore generale del Sassuolo, in grande ascesa sotto la guida del patron Giorgio Squinzi.
«Lunedì dovremmo ricominciare con gli allenamenti collettivi ma siamo in alto mare: qualora il campionato non riprendesse prevedo scenari drammatici. Leggendo le ultime modifiche al protocollo non mi sembra che si voglia favorire la ripartenza Intorno a noi confusione e veleni»
Giovanni Carnevali, da cosa vogliamo cominciare?
«Decidi tu, tanto da qualunque parte ci voltiamo troviamo confusione e veleni».
Meno male che lo ammetti.
«Non ammetterlo sarebbe da incoscienti. Lunedì dovremmo ripartire con gli allenamenti a gruppi e tutto è ancora in alto mare».
Ma la colpa è anche vostra, come società intendo.
«Ti rispondo così: il ritiro non è un problema, ma deve essere rivisitato, perché contiene disposizioni troppo rigide ed esasperate. Lasciami dire una cosa: se noi vogliamo far morire il calcio siamo sulla strada giusta, qua siamo tutti pazzi, mi rendo conto che stiamo vivendo una situazione di grande emergenza, ma perché costruire tutta questa confusione».
Hai ragione, ma consentimi: far diventare gli allenamenti facoltativi solo, perché voi non volete pagare uno stipendio o due è un brutto segnale.
«Ciascuna società agisce nel proprio modo, a seconda delle proprie possibilità, poi è vero che è un sistema in grande difficoltà, altrimenti non arriveremmo a questi punti. Comunque, fammi dire che in questa grande emergenza tutti dovremmo metterci una mano sul cuore e aiutarci l’uno con l’altro, invece ciò non accade».
A chi stai parlando?
«A tutte le componenti che hanno in mano il futuro del nostro calcio».
Ma se già voi società siete sparpagliate e non unite come sarebbe fondamentale.
«E’ un aspetto culturale di noi italiani, pensiamo sempre a noi stessi, il nostro è un mondo che non ha una visione futura ma che guarda solo all’immediato. E questo tipo di sistema non ci porterà mai da nessuna parte, occorrono programmazione e organizzazione anche da parte di chi ci gestisce».
Un’insinuazione: al di là di quello che dicono, non è che queste componenti il calcio non vogliano farlo ripartire?
«Le società si sono già pronunciate sul fatto che questo campionato va finito».
Un conto è pronunciarsi e un conto è volerlo.
«Per quello che riguarda il Sassuolo noi questo campionato vogliamo finirlo a tutti i costi. E ringrazio il governatore dell’Emilia Romagna, Bonaccini che ci ha dato la possibilità di ricominciare a lavorare prima degli altri, dimostrando un grande buon senso. Che purtroppo non appartiene ad altre componenti».
Non hai risposto. Tu la metteresti la mano sul fuoco sulla volontà delle altre società di ripartire?
«Se qualcuno non vuole farlo, lo dica apertamente ed esca allo scoperto. Magari è vero che alcune società danno un occhio alla classifica, ma qua dobbiamo pensare alla serie A, a non affondare. Il discorso è uno solo: c’è un’industria calcio e c’è il calcio giocato e l’industria calcio se non si riparte è un dramma. Anche perché se fallisce la serie A, a cascata, fallisce tutto il sistema calcio».
Altra insinuazione: una società se non gioca finisce per avere meno perdite che nel caso in cui giocasse.
«Faccio i conti in tasca nostra: i danni sono enormi anche se si torna a giocare, ma se non torniamo è un disastro. La verità è che abbiamo gestito male tutto, ci ritroviamo a pochi giorni dall’inizio degli allenamenti e non conosciamo ancora le modalità del protocollo, quando invece già avremmo dovuto conoscere anche il protocollo delle partite. Se è un problema insormontabile il primo, figuriamoci il secondo. E allora sai cosa penso?».
Cosa pensi?
«Ho l’impressione, in base alle ultime modifiche fatte sul protocollo, che non ci sia una grande voglia di favorire la ripartenza».
Ora sei tu che insinui. Ti chiedo: affermare che è giusto ripartire ma in sicurezza non è un luogo comune? Anche perché nemmeno a ottobre potremo essere a rischio zero.
«E’ stato un errore, qui dobbiamo metterci tutti in testa di dover convivere con questo maledetto virus e fare le cose nel miglior modo possibile».
Di sicuro sarebbe stato meglio dire che il calcio deve ripartire e basta.
«E’ così. Se non faccio niente e sto a casa, muoio, ecco il punto. Oggi chi decide tutto sono medici e virologi, ma sarebbe stato importante che avessero ascoltato il parere anche dei dirigenti sportivi. La quarantena come è scritta oggi va tradotta così: il calcio italiano non deve ripartire».
Il presidente del Coni Malagò ha assicurato che sarà rivista.
«Che Malagò la faccia cambiare allora. Malagò, Gravina, io la vedo in modo diverso. E’ la Serie A che deve preparare i protocolli e determinare il sistema calcio, non devono essere scritti da federazione e ministri. E sia chiara una cosa: non ci diano un contentino se poi non vogliono farci ricominciare. Prendiamo spunto dalla Germania».
E’ una buona idea.
«Non vedo l’ora di guardare le partite, è la grande forza del calcio tedesco e di una nazione che va più forte di noi».
Dopo tanti silenzi, ora ha cominciato ad alzare la voce anche l’Aic. Ciò lo avremmo evitato se a quel tavolo fosse stata invitata anche questa componente.
«In questo tavolo decisionale è stato dato troppo potere ai medici, ai virologi che non sanno cosa sia il sistema calcio, sì, sarebbe stato giusto coinvolgere i responsabili di tutte le componenti. Come ho già detto, tante cose sono state sbagliate, ma siamo ancora in tempo per rivederle. E chi ritiene che non sia così, è solo perché non vuole che il calcio riparta».
Tu sulla responsabilità eventuale dei medici cosa pensi?
«Tutti noi dobbiamo fare attenzione, in base alle leggi le responsabilità sono dei medici e degli amministratori delegati, è vero, ma come fai a determinare se questa malattia te la sei presa in un centro sportivo o a casa tua? Comunque, dammi retta, chi vuole bene al calcio può senza problemi sciogliere i tre nodi più importanti».
Quali sono?
«Il primo è la quarantena, il secondo è il ritiro, che secondo me dobbiamo farlo tutti nello stesso modo e il terzo sono i medici. Caso mai permettimi di fare un paio di osservazioni».
Ti ascoltiamo.
«A parte che io avevo votato per far ripartire il campionato il 20 giugno e non il 13, se vogliamo finirlo dobbiamo fare soprattutto gli interessi del nostro sistema calcio, e poco importa se lo finiremo a metà agosto. Poi, per quanto riguarda il ritiro, sarebbe stato più logico farlo 15 giorni prima che cominciasse il campionato, e ora avremmo potuto continuare ad allenarci regolarmente».
Comunque hai già rassicurato tutti che non sarà di sicuro il nodo ritiro a non far ripartire il campionato.
«Sarà sufficiente solo un po’ di buon senso per rivisitarlo».
Perché i giocatori tedeschi non hanno paura e quelli italiani sì?
«I miei giocatori sanno che qualche rischio devono affrontarlo per il bene del sistema, non è una questione di paura, ma di far continuare a vivere il calcio. Ora come ora le partite e il gioco devono essere messi in secondo piano, e anche i tifosi devono capirlo, perché come ti ho detto qua c’è il forte rischio che tante società debbano portare i libri in tribunale e che poi il calcio non ci sia più».
Consentimi un’ultima insinuazione: chi non vuole giocare, se la questione della quarantena non viene rivista, può sempre far uscire dal cilindro un bel “positivo”.
«La lealtà sportiva deve venire prima di tutto, non possiamo pensare di essere sempre più furbi degli altri».
Belle parole Giovanni.
«Sarò più chiaro, allora: tutto dovrà essere organizzato al massimo della trasparenza, perché il problema che qualcuno possa nascondere un positivo e lo faccia passare da infortunio, volendo che il campionato continui, e che qualcun altro invece lo faccia uscire, volendo che il campionato si fermi, eccome se può saltare fuori». A cura di di Claudio Beneforti (CdS)