Fabio Capello sulla ripresa: “Bisogna crederci, in campo i rischi al minimo. Gattuso bravo su tutto”

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«Crederci. E ripartire con coraggio». Sono le parole chiavi della vita di Fabio Capello, le parole ideali per affrontare questo momento di rinascita, non solo del calcio, di un intero Paese. Classe, tenacia, mentalità vincente e carattere forte: altrimenti don Fabio non avrebbe incetta di trionfi. Ora è voce autorevole e preziosa di SkySport, pronto a rituffarsi nel campionato, ammesso che arrivi il via libera dal governo.
Capello, crede che ci siano le condizioni per riprendere la stagione?
«Si sta lavorando su un protocollo medico che mi pare rassicurante per i calciatori, visto che i super controlli ridurranno al minimo i rischi di contagio. Probabilmente il campo da gioco è un posto che in questo momento può considerarsi più in sicurezza di una negozio o di un supermercato».
Come trascorre questo periodo di lockdown?
«Sto a Lugano, faccio qualche passeggiata, vedo tanta televisione. E poi coltivo la mia grande passione: la pittura. Vado su Internet, perché ormai si fa tutto online e mi guardo qualche quadro che poi magari vado a comprare. È stato Italo Allodi ai tempi della Juventus ad avvicinarmi all’arte. Ed è stata subito una grande passione, non ho mai pensato alla pittura come una forma di investimento: perché scelgo le opere per le emozioni che mi regalano».
Il calcio ora è un quadro che emozioni non ne regala
«Proprio nessuna. Vedere le partite di cui si conosce già il risultato non è il massimo anche se quelle del Mondiale 2006 me le sono riviste tutte».
Potrebbe rivedere la sfida di Wembley del 1973, quella in cui fece gol e che valse il primo successo dell’Italia con l’Inghilterra?
«No, se proprio devo rivedere qualcosa di mio preferisco rivedere le mie delusioni piuttosto che i miei successi e i momenti di gioia».
Meglio il gol fantasma di Lampard che il 4-0 del suo Milan al Barcellona, dunque?
«Davvero, peraltro dopo ogni mia delusione le regole sono cambiate. Ho fatto da cavia, se si può dire, nella mia carriera. Da allenatore, mi brucia la grande ingiustizia del gol-fantasma di Lampard contro la Germania nel Mondiale del 2010 che ha poi portato alla adozione della tecnologia sulla linea di porta. Ma anche nel 1970 successe la stessa cosa, quando ero alla Roma. Fummo eliminati in semifinale di Coppa delle Coppe dal Gornik Zabrze dopo tre partite, l’ultima in campo neutro a Strasburgo. Con la monetina. Anche dopo quella maratona assurda, modificarono le regole e la monetina venne tolta di mezzo».
Vede punti in comune tra la rinascita del dopoguerra e questo momento in Italia?
«A Pieris ero un bambino ma vedevo la voglia di rimboccarsi le maniche che c’era da parte di tutti in quegli anni della ricostruzione. La cosa bella di questi tempi è la sensazione che tutti assieme stiamo condividendo questo momento atroce della storia, e stiamo affrontando le difficoltà con unità».
Motivo per cui sarebbe un errore dichiarare già conclusa la stagione?
«Provarci, certo. Soprattutto per la gioia che si potrà regalare ai tanti tifosi costretti a casa. Siamo in emergenza, bisogna finire il campionato per regalare degli attimi di allegria alle persone. E poi bisogna pensare a quel mondo, circa 100 mila persone, non solo i calciatori, che vive di calcio. E bisogna essere pronti a fare qualcosa di diverso, sapendo che sarà una cosa necessaria».
Lei cosa pensa?
«Come in un fase finale dei campionato del Mondo. Le squadre devono andare in ritiro per 40 giorni e pensare solo a scendere in campo ogni tre giorni. E così si finisce. È un sacrificio, è chiaro, ma è chiaro a tutti che i danni economici di una sospensione definitiva della stagione sarebbero grandi per i club, quelli piccoli e quelli grandi».
È attratto dalla formula dei playoff?
«No, non mi piacciono: bisogna riprendere il campionato da dove si è concluso. E ovviamente non mi piace neppure l’idea di una finale per lo scudetto tra Lazio e Juventus».
Uno dei grandi pericoli, sarebbe il rischio di infortuni per i calciatori.
«Ed è proprio pensando alla loro salute che mi auguro che si prenda nuovamente in considerazione l’idea di portare a 4 o 5 le sostituzioni durante la partita. Ma bisogna provarci». 
Provarci. È una parola che è spesso presente nelle cose che lei dice. 
«Ero a Ferrara alla Spal e cercavo di non trascurare gli studi, ma era difficile. Mio padre capì che stavo per mollare e lasciò Pieris per venire da me. E mi disse una parola che sarebbe diventata la bussola della mia vita: provaci. Alla fine mi sono diplomato».
Qualcuno propone: finiamo la serie A giocando al Sud.
«Basta che ci sia la volontà e che si mettano tutti d’accordo. Perché no? Tanto è a porte chiuse, senza pubblico e in ogni caso sarebbe qualcosa di diverso. Ma io sono certo che dopo le sanificazioni, si potrà giocare in tutti gli stadi d’Italia in sicurezza».
Certo, senza pubblico.
«Perdiamo tanto, è ovvio. Sarà pesante anche per i calciatori in campo. Ma finire il campionato è la priorità di tutti».
Non è che il Coronavirus può essere un alibi per il nostro calcio?
«Alibi no, perché chi si sarebbe mai sognato di trovarsi in un dramma del genere. Tanti club hanno fatto investimenti ipotizzando degli scenari, poi arriva qualcosa di imponderabile e tutto prende una piega differente da quello che si pensava».
Capello, nella serie A che diventa campionato del mondo, i valori saranno diversi da quelli delle prime 26 giornata?
«Certo, le squadre che hanno le rose più ampie, i sostituti di qualità saranno avvantaggiate. Per questo meglio avere più cambi, perché giocatori freschi in campo possono ridurre queste differenze».
Quasi tutti hanno iniziato gli allenamenti individuali.
«Non c’è un solo calciatore che non vedeva l’ora di tornare in campo, allenarsi, correre, sentire il pallone. Lo hanno già tra i piedi, sognano di giocare e di vincere».
La Champions ad agosto pure sarebbe una bella innovazione?
«Perché il Tour a settembre e il Giro d’Italia a ottobre? Bisogna rivoluzionare ogni cosa, bisogna arrangiarsi ma con l’obiettivo di concludere le competizioni».
Si aspettava Gattuso già così decisivo nel Napoli?
«Aveva fatto bene al Milan, ha fatto benissimo nei primi mesi al Napoli: il suo è un lavoro straordinario e i risultati non erano così scontati. È stato bravo sotto ogni aspetto: quello tattico ma anche nel ricompattare il gruppo. È stata quella la sua vera forza».
Che mercato sarà?
«Dimentichiamoci i prezzi di prima. Ecco, il Coronavirus nella sua tragedia, una cosa giusta ha fatto è stata quella di calmierare i prezzi dei calciatori». 
Si aspetta un taglio degli stipendi da parte dei calciatori?
«Non ho dubbi. Ma il problema vero è quella parte di calciatori, di società che ha sempre vissuto al limite e che senza i contributi della serie A rischia di andare in sofferenza. Ecco, spero in una grande solidarietà nei confronti di questo mondo che se la vedrà molto dura». Pino Taormina (Il Mattino)

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