A. Di Napoli: “Ronaldo dell’Inter, il vero fenomeno. Legatissimo a Simoni, Boskov e Imbriani”
Interessante intervista di Napolisoccer.net ad Arturo Di Napoli
L’ex calciatore azzurro Arturo Di Napoli, è intervenuto a NapoliSoccer.NET, ha rilasciato una lunga e simpatica intervista, rispondendo alle domande dei tifosi.
Caratteristiche dei giocatori, alcuni pur sembrando scoordinati, hanno ottenuti grandi risultati. Hai avuto compagni di squadra con simili caratteristiche? “Si, ho avuti alcuni compagni scoordinati ma due di loro mi hanno impressionato più degli altri e sono Alberto Gilardino e Alfredo Aglietti. Sembrava che stessero per cascare o per perdere il pallone ma poi alla fine riuscivano sempre a tenerlo. Aglietti, lo avuto come compagno a Napoli, aveva una proprietà di palleggio impressionante ma era scoordinato e storto (ride – ndr). Con Gilardino, invece, abbiamo giocato assieme a Piacenza, era alle prime armi, era incredibilmente scoordinato ma faceva gol in tutte le maniere, spesso gli chiedevo come facesse. Erano molto scoordinati ma entrambi hanno fatto una carriera pazzesca e spero mi perdoneranno”.
C’è un gol che ricordi in maniera particolare? “Ho fatti tanti gol ed alcuni di questi erano molto importanti. Personalmente ricordo con molto piacere quello contro la Sampdoria. Un rigore segnato a Zenga negli ultimi minuti, fu un gol importante che andai a festeggiare sotto la curva, fu importante non per la bellezza ma l’importanza, infatti ci consentì di vincere la partita, ricompattare lo spogliatoio ed agguantare la salvezza”.
Perché andasti via dal Napoli? “Gigi Simoni, che spero stia bene, è stata una persona straordinaria ma forse, all’epoca, per volontà della società si preferì valorizzare altri giocatori che erano di proprietà del Napoli. Io – racconta Arturo Di Napoli a Napolisoccer ero in prestito dall’Inter e giocavo poco in quanto da Caio e non ero contento. Sentendo Mazzola mi disse: ‘panchina per panchina vieni da noi che ci serve un’altra punta’ e quindi nel mese di gennaio ritornai all’Inter”.
All’Inter hai avuto come compagno di squadra un certo Ronaldo… “Di giocatori forti ne ho visti tanti ma lui è in assoluto il giocatore più forte che io abbia mai visto. I numeri parlano chiaro anche per altri giocatori ma quando si parlo di ‘fenomeno’ a me viene in mente lui, non trovo altri giocatori a quel livello. Era impressionate per doppio passo e accelerazione, teneva botta con i difensori che non andavano leggeri e lui neanche si girava a vedere chi gli avesse dato uno spintone o fatto un fallo, secondo me neanche li sentiva (ride – ndr). Era impressionante aveva un collo grosso così, era velocissimo e palla al piede non riuscivi a toglierla facilmente. Un proiettile”.
Ci racconti come sei arrivato a Napoli? “Ero in prestito al Gualdo in C1 dopo l’esperienza ad Acireale, facemmo la finale contro l’Avellino e feci una grande partita. Al termine della gara, mi chiamò l’Inter e, spiegandomi che c’era la possibilità di andare in prestito al Napoli, mi chiese cosa ne pensavo. Non li feci neanche finire di parlare che già ero in aeroporto. Napoli per me ed i miei fratelli era impressionante. Dopo mi chiamò il ds del Napoli dell’epoca Gigi Pavarese e firmai il contratto, dopo scambiammo due chiacchiere e mi disse: ‘sai perché sei a Napoli? Perché hai sbagliato il rigore con l’Avellino’ (ride – ndr). Sono grato al Napoli perché mi ha dato la possibilità di affacciarmi nel mondo del calcio importante”.
Qual è stato il tuo rapporto con Gigi Simoni? “Ogni allenatore mi ha lasciato dentro qualcosa, sono due allenatori che hanno segnato la storia del calcio e non solo. Simoni pretendeva un giocatore un po’ diverso rispetto a quelle che erano le mie caratteristiche, voleva che corressi dietro agli avversari.
Ero un giocatore particolare, un trequartista ma siccome i trequartisti avevano poca vita, mi sono dovuto adattare a punta altrimenti non giocavo.
In quegli anni si faceva fatica a giocare come trequartista e per questo motivo Gigi Simoni mi fece capire che avrei dovuto fare la punta altrimenti avrei continuato a giocare poche volte e non in grandi partite. Ho giocato sempre in squadre che hanno lottato per salvarsi e gli allenatori non erano propositivi, per questo motivo negli anni mi sono dovuto adattare sempre di più a giocare come punta.
Fare il trequarti non è facile e la storia di Pirlo lo insegna, come play ha scritto pagine importanti per la sua carriera ma anche e di quella della storia del calcio. In quel ruolo lui, Iniesta e Verratti sono tra i più forti. Noi diciamo che hanno gli specchietti dietro, cioè i calciatori che vedono ovunque, quelli che quando sei in difficoltà dai la palla a loro e metti la palla in banca, dove gli interessi sono molto più alti dei nostri. Pirlo è il maestro del centrocampo.
A Salerno ho vissuto una situazione simile con Luca Fusco, che mi diceva: ‘noi difendiamo, poi ti buttiamo la palla in avanti e cerca di fare qualcosa’. In ogni squadra c’è sempre un giocatore a cui dare la palla ed essere sicuro che non la perdeva, io mi sono sentito così a Salerno e a Messina. credo di aver restituito tutti con i dovuti interessi”.
Com’era Boskov con allenatore? “Nel calcio ha fatto qualcosa di straordinario, aveva un modo di sdrammatizzare e di porsi ai propri giocatori incredibile. Lo saluto e lo ringrazio ovunque in questo momento lui sia. Mi ricordo che una volta perdemmo a San Siro e lui ci disse: ‘ragazzi meglio perdere una partita 5-0 che 5 partite 1-0’. Lo disse a noi, alla stampa ed anche ai tifosi che, il giorno dopo, si arrabbiarono molto per queste affermazioni… giustamente si erano fatti 800 km e avevano visto una sconfitta di grandi dimensioni. A me diceva sempre: ‘sei un ragazzino perché non corri?’.
Ci sono tanti aneddoti riguardanti Boskov e sono tutti molto divertenti. Ci faceva allenare alle 11, diceva che a Napoli andava tutto a rilento quindi era giusto allenarci alle 11 anche perché col traffico che c’era sosteneva che era impossibile arrivare presto. Che tempi, dopo l’allenamento mangiavamo sempre con il mitico chef di Soccavo, finivamo tardi e quindi pranzavamo sempre lì verso le 14/14.30. Erano degli orari comodi per tutti noi”.
Tra i tuoi compagni di squadra al Napoli hai avuto Carmelo Imbriani, qual è il tuo ricordo di lui?
“Ne abbiamo fatte veramente tante assieme ma sono cose che non si raccontano per la sacralità dello spogliatoio. Con Imbriani eravamo coppia fissa e quando facevamo i doppi allenamenti o le sedute di pomeriggio, lui restava a dormire da me anziché tornare a Benevento.
Una volta provammo a fare la pasta ai quattro formaggi che successe (ride – ndr). Ero arrivato da poco a Napoli – ricorda Arturo Di Napoli a Napolisoccer.NET – e ci arrangiavamo a cucinare, dovevamo scolare la pasta e non sapevamo come prendere la pentola dal fuoco, per questo motivo la prendemmo entrambi con i tovaglioli di carta che però da sotto presero fuoco. Con le fiamme altissime lasciammo la pentola e cadde tutto, incredibile, praticamente buttammo tutto ciò che avevamo preparato per non dire che la cucina era un disastro pazzesco e non ci rimase nulla da mangiare. Ricordo Carmelo che, con un faccia sbalordita, fece uscire tutta la sua parte napoletana e mi disse: ‘e mo’ che faccimme?’ (ride – ndr), gli risposi: ‘ordiniamo la pizza qua sotto altrimenti non si mangia’, guardami, penso a questa scena e ancora rido.
Carmelo ci ha lasciato troppo presto ed è una ferita che ancora fa male. Sapevamo che stava attraverso un periodo difficile e lottava contro la malattia che poi ha preso il sopravvento. Carmelo Imbriani era un pazzo, un folle ma era una persona di alto valore umano, bontà e cuore grande come pochi. È un amico che, anche se non è più tra noi, è come se ci sia, era molto simpatico e faceva tanto ridere”.
Ti ricordano tutti con grande affetto. “Questa pandemia ha lasciato tutti sorpresi, non possiamo neanche salutarci ed abbracciare i nostri cari. Anche se oggi il nostro Paese cerca di ripartire piano piano, in questi giorni ho avuto modo di chiacchierare con addetti ai lavori e non, che mi hanno fatto rivivere emozioni straordinarie. Se a distanza di 15/18 anni si ricordano i particolari vuol dire che hai fatto qualcosa di bello.
A Salerno, quando vado è sempre un brivido ed un’emozione. All’epoca, superata la fase iniziale negativa, hanno apprezzato la persona che ero, mi vogliono bene più di prima ed ora quando vado è sempre una festa. A Venezia ancora oggi mi ricordano per quel gol di tacco fatto in A contro il Lecce. Fu un gol bello e istintivo. La sera stavo mangiando c’era il Tg 5 e dissero che ero entrato nella storia dei tacchetti con Vialli, Mancini e tanti altri”.
Qual è il compagno con cui ti sei trovato meno? “Il nostro spogliatoio è un po’ come il militare, in una caserma non con tutti si va d’accordo e quando finisce la stagione solo con pochi calciatori resti amico. È un dato di fatto, sul quale non credo di essere smentito. Ciascuno di noi ha l’amico con cui è rimasto in contatto, sento spesso Accardi, che fa il ds dell’Empoli, Sullo, Zoro, Storari e Mamede.
Lo sanno tutti che con Riccardo Zampagna non andavo d’accordo. Quando il mister doveva dare le indicazioni chiamava prima lui e poi me oppure viceversa. Io dicevo sempre: ‘perché devo farlo io? Faglielo fare a lui, io faccio altro’. Tuttavia in campo mettevamo da parte tutta la nostra rivalità, ci mettevamo l’uno al servizio dell’altro ed entrambi aiutavamo la squadra. Mi ha fatto fare tanti gol, lui è un giocatore che si è costruito da solo, non ha avuto agevolazioni da nessuno e si è guadagnato tutto da solo sul campo, arrivando tardi in Serie A. Per questo motivo aveva un carattere particolare, tuttavia è stato un giocatore straordinario. Adesso la nostra rivalità l’abbiamo messa alle spalle.
Come fu il periodo di prova al Besiktas? “Sono stato con i Rangers dove non trovammo l’accordo, mentre con il Besiktas si. Ero pronto ad iniziare con loro ma mi prese male, era un ambiente che non mi metteva a mio agio e a settembre decisi di ritornare in Italia. Trovare squadra non era facile, ebbi due proposte: una dal Messina ultimo in B, l’altra dall’Ancona ultimo in A. Alla fine scelsi Messina. Ebbi una telefona di una persona importante, il quale mi consigliò di andare al Messina perché l’Ancona non aveva speranza. Non è un caso a luglio l’Ancona fallì e sparì dal calcio, mentre noi vincemmo il campionato in B. Ringrazio tanto quella persona per il consiglio che mi diede.
All’epoca la scelta fu folle, l’Ancona era in A, mi dava un anno in più di contratto e avrei guadagnato di più, in B il Messina mi dava due anni di contratto e molto di meno. Ad Ancona l’allenatore era Nedo Sonetti, che avevo avuto a Palermo, mi chiamava spesso per farmi andare lì ma alla fine scelsi Messina perché avevo la sensazione che si poteva costruire qualcosa di importante. Non mi sono sbagliato – spiega Arturo Di Napoli a Napolisoccer.NET – infatti abbiamo scritto pagine importanti per la storia del calcio messinese. Per l’Ancona fu un anno terribile, Pieroni per convincermi, fece chiamare anche Sonetti ma si sapeva che l’Ancona non era in una buona situazione e alla fine scelsi Messina.
È stata la fortuna mia e del Messina, quell’anno la squadra era importante ed aveva un’ossatura solida. Avevamo una difesa impenetrabile e non facevi gol neanche con le bombe, in attacco avevamo prima Pampa Sosa e po Igor Zaniolo, poi c’erano giocatori come Sullo, Mamede e Coppola, che in mezzo al campo erano due dighe ed infine Storari in porta. Fu una grande scalata, eravamo una squadra forte, quando arrivai eravamo ultimi con l’Atalanta, che ci distanziava di 21/22 punti ma poi a fine campionato abbiamo addirittura superato la squadra orobica.
Fu l’anno in cui successe l’episodio di Soviero? Si quello. Ricordo che stetti un’ora e mezza nello spogliatoio per cercare di calmarlo. Soviero è stato un portiere forte ma un po’ troppo folle, lui è una persona che ha dei principi e quando vai contro questi suoi principi va fuori di matto”.
Com’è stato il tuo rapporto con Zamparini? “Il presidente è una persona straordinaria e mi dispiace per quello che è stato il suo epilogo con il Palermo e con il mondo del calcio. Credo che abbia fatto star bene i giocatori. Ricordo che per motivi di salute non guardava la partita in diretta ma le guardava la sera, poi stesso la sera i giornalisti lo chiamavano per un commento e capitava che il mattino ti svegliavi e c’era lui che ti insultava e sui giornali ti poteva dire: ‘mercenario, ti rubavi i soldi eccetera’. Per i tifosi non era una bella cosa ma lui è fatto così, non ci potevi fare nulla. Quando veniva ti abbracciava ti salutava e ti diceva il perché e il per come. È una persona molto competente, con grande cultura e competenza che aveva una conoscenza sia del calcio che della vita quotidiana e che può essere un maestro di vita. Zamparini è una delle persone più intelligenti che ho conosciuto in questo mondo, con senso di evoluzione continua e conoscenza, che ti esonerava quando non portavi i risultati”.
Napoli-Atalanta, l’assist in rovesciata a Boghossian? “Ho sentito Boghossian qualche giorno fa e mi ha ricordato di questo assist e di questo gol. Era una partita in notturna e se non ricordo male fecero gol lui ed Imbriani”.
Ti saluta Bombardini “Ciao grande Bomba, ogni volta che facciamo una partita di beneficenza ci litighiamo sempre la 10 per questo motivo devono mettere due maglie con il numero 10. Ha scritto che me la cede? No non esiste (ride – ndr), non mi può lasciare la 10 è una guerra che porteremo avanti per sempre. Sono sicuro che se avessi giocato con lui avrei fatto molti più gol”.
C’è stato qualche allenatore con cui non hai discusso? “Credo di non aver avuto discussioni con uno o due allenatori, confesso che non ero facile da gestire come giocatore, ho litigato con tutti. Crescendo, capendo le cose mi sono reso di aver buttato via la mia carriera per stupidità e per colpa di quest’aria di superiorità che non mi ha portato grossi benefici ma sono esperienza che vanno fatte per capire.
Ovunque sono andato, ho sempre portato i risultati che mi hanno richiesto, ho molte colpe io e non gli allenatori, con cui sono andato a discutere. Anche se c’è stato qualcuno che mi ha penalizzato, questo fa parte di questo mondo e di questo gioco. Potevo fare di più ma la testa era quella.
Adesso lo posso dire ero così stupido e folle, che, quando giocavo a Vicenza, il giovedì chiamavo mister Guidolin e gli dicevo che avevo fatto una serata ed avevo lo stomaco sottosopra e lui allargava le braccia sconsolato.
Con il tempo ho capitato molte cose, gli eventi ed il figlio mi hanno cambiato. Molti mi chiedo cosa non faresti, io rispondo una marea di cose. Si parla con il senno di poi ma se avessi avuto metà testa di Coppola e Mamede per intensità di allenamento e sacrificio fuori dal campo avrei fatto coppia fissa in nazionale con qualcuno.
Le mie qualità erano tante ma per quanto fossero importanti avevo una testa folle. Sono cose che non ne vado fiero, adesso faccio l’allenatore e lo dico sempre ai miei ragazzi. Poi loro non mi possono fregare; poiché tutti i trucchetti li conosco a mena dito e quindi con me cascano male”.
Più facile fare l’allenatore o il giocatore? “Sicuramente il giocatore, inizi alle 14.30 l’allenamento e alle 16.30 hai finito tutto, baci e abbracci, arrivederci e grazie. L’allenatore lavora 24 ore su 24: prepara l’allenamento, quello del giorno dopo, preparare la gara, preparare la squadra alla gara, deve organizzare la trasferta e la discussione inevitabile con i giocatori, dato che su 23 che ne hai a disposizione, ci sarà sempre qualcuno che non la pensa come te. L’allenatore è un mestiere tosto, che deve trasmettere le proprie idee agli altri, se non hai la passione e l’ambizione di arrivare in alto non riesci a farlo. Se non hai giusto equilibrio e coerenza rischi di essere esonerato. Ti devi far rispettare dai giocatori, devi avere la loro fiducia altrimenti sei un uomo morto. Devi parlare con loro in maniera chiara e senza prenderli per i fondelli”.
Quali sono i tuoi ricordi dell’esperienza ad Acireale dove hai avuto anche Mazzarri come compagno di squadra? “Ero sempre con lui, era sposato ma viveva da solo. Era all’ultimo o al penultimo anno di carriera, mentre io venivo dal settore giovanile dell’Inter dove ero coccolato e trattato da primo donna in quanto ritenuto un talento. Arrivai in B in un ambiente nuovo per interessi ed allenatore e Mazzarri mi prese sotto la sua protettiva e mi fece capire tante cose.
In quel periodo persi mio padre e lui mi aiutò tanto. Sono uno che non gli rompo mai le scatole se voglio andare a vedere la partita. Walter in un momento difficile fu una persona importante mi guidò e mi fece capire il mondo del calcio. Io non ci avevo capito un granché e quindi fece tutto il contrario”.
La Redazione