Rischi. Sempre OpenEconomics ha illustrato i rischi più pericolosi per la “salute” del sistema calcio. Nello specifico, il fallimento di molte imprese e aziende; il calo dell’occupazione a livello permanente; la decrescita della domanda strettamente collegata alla potenziale disaffezione del pubblico; il cambio delle preferenze di consumo e del paniere di spesa degli appassionati (così come dell’allocazione dei budget delle aziende) e infine l’impatto patrimoniale. Soprattutto la possibile perdita di capitalizzazione delle società quotate in Borsa e, più in generale, del “valore aziendale” dei club.
Tre gli scenari futuri.
- Il primo è il più “favorevole”, perché prevede la ripresa delle competizioni a porte aperte.
- Il secondo è a “porte chiuse”.
- Il terzo, infine, è il più negativo, soprattutto se la stagione in corso non si concluderà nei tempi previsti.
Lo tsunami di questa emergenza toccherà l’intera filiera, ma sarà soprattutto la prima divisione a pagare il conto più salato. Nell’ipotesi di un campionato a porte chiuse il valore della produzione si fermerà a 3,36 miliardi (-177,7 milioni di euro), mentre se la stagione non verrà portata a termine la perdita salirà fino al tetto dei 313,1 milioni di euro. Con 215 milioni di mancati guadagni per i contratti di sponsorizzazione e 98,1 milioni per la parte collegata ai ricavi da stadio (il cosiddetto “botteghino”).
Nell’ipotesi invece di un campionato a porte aperte, le perdite da biglietteria non superano i 98,1 milioni e 79,6 milioni di euro se si analizzano i ricavi da sponsor e attività commerciali. Contenuto il saldo dei costi stimati dal report Figc-OpenEconomics in 3,73 miliardi di euro (appena 33,9 milioni di “risparmi” se la stagione non si concluderà regolarmente).
(*) direttore agenzia Sporteconomy.it. Fonte: CdS