Il napoletano Cervone: “Sono fuori dal calcio perchè ho un carattere!”

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Alla base ci sono lapilli e pomici, forgiano la personalità. Da questa parte, con l’ombra dell’ imponente Vesuvio che protegge, il calcio si giocava in strada. In quest’area Vincenzo Montella e Nicola Caccia (Castello di Cisterna) mentre Giovanni Cervone è cresciuto a Brusciano, cinque minuti di auto più a est. «Quando ho cominciato ad appassionarmi al calcio, innamorato del Milan di Rivera, neppure esisteva un campo. I bambini stavano in piazza. Però ci arrangiavamo, ci divertivamo: mi piaceva segnare, poi come spesso capita alla squadretta del paese mancava un portiere…». Cervone, per difendersi, a volte ha usato le mani. Portiere completo, tecnicamente e fisicamente.

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Cervone, quelle mani… Le ha usate per attaccare oltre che per parare, vero? «Beh, qualche compagno le ha prese. Evidentemente se l’era meritato. Ma niente nomi».

Anche qualche avversario ha vissuto attimi di terrore. In un derby prese per il collo Alen Boksic, che piccolo non era. «Stavo solo difendendo un mio compagno, Carboni, che era a terra. Non mi piace chi fa il fenomeno. In tanti erano così sul campo, poi al fischio finale scappavano».

In un Inter-Roma di Coppa Italia stese Aldo Serena con una gomitata. Eppure la palla era in mano a lei, Giovanni. L’arbitro diede un rigore mai visto, che quasi costò la qualificazione. «Ricordo bene, vincemmo poi al sorteggio. Serena era molto fastidioso, antisportivo. Del resto, vi sembra normale un calciatore che gioca due derby in due città con quattro maglie diverse? Quel giorno offese mia madre. Appena ho avuto l’occasione, l’ho colpito».

Non sembra avere rimpianti, per certi errori. «Ma no, che senso avrebbe? Non mi piace l’idea di essere contro corrente. La verità è che io non ho mai finto, non mi piego. E ora lo sto pagando, perché sono rimasto fuori dal calcio. Ma il carattere mi è servito anche a superare momenti difficili».

Ad esempio? «Due infortuni. Ecco, se vogliamo parlare delle cose che più mi hanno frenato sono stati gli incidenti. Il primo a 17 anni, zigomo polverizzato. La chirurgia non era mica come oggi, negli Anni 70. E poi il crociato, nella stagione del Mondiale del 1990. Sarei andato di sicuro come terzo, stavo troppo bene. Pensa che il ginocchio saltò durante la partitella del martedì, mentre giocavo in attacco. Comunque sono ripartito».

Litigando con tanti, anche fuori dal campo. «Presidenti, soprattutto».

Alla Roma, dove è rimasto 8 anni, ne ha avuti tre. Viola, Ciarrapico, Sensi. Come li descriverebbe? «Viola era un vero signore. Una volta intervenne per difendermi con Ottavio Bianchi, che non voleva farmi giocare. Ciarrapico è rimasto poco ma a noi ha dato qualcosa. Non giudico le sue vicende giudiziarie, intendo proprio come presidente. Sensi invece era un po’ arrogante: con lui mi sono scontrato spesso anche se i miei compagni pensavano che fossi il suo pupillo».

Racconti qualche episodio. «Quando arrivò Carlos Bianchi al posto di Mazzone, nel 1996, io ero il portavoce della squadra e mi lamentai degli allenamenti durante il ritiro. Lui mi chiamò e mi disse: “Lo fai solo perché sei amico di Mazzone”. E mi mise fuori rosa. Boh».

Fuori rosa la Roma l’ha messa varie volte, provando a sostituirla con portieri come Zinetti, Lorieri, Sterchele. «Lo so bene quali voci giravano. Una volta ero drogato, una volta ero nel calcio-scommesse, una volta malato immaginario. La verità è che la società voleva cambiare portiere ma non ci riusciva. Anche con Mazzone ci furono tensioni».

Cioè? «Arriva Carletto, mi telefona e mi fa: “Giova’ non te ne andare, mi servi”. Io rispondo ok. Torno dalle vacanze, compro il Corriere dello Sport a Fiumicino e leggo che la Roma ha preso due portieri, Lorieri e Pazzagli. A quel punto chiedo spiegazioni al ds Mascetti: dentro alla società qualcuno sosteneva che io avessi preteso garanzie, o fatto richieste. Era falso. Morale, sono fuori. Dopo qualche partita mi richiamano, il posto è mio, ma mi faccio male. Quando recupero, mi ritrovo in panchina. Una volta ci sto. Ma oltre no, ho la mia dignità. Con tutto il rispetto, non faccio la riserva di Lorieri».

Morale? «Dico a Mazzone che se devo andare in panchina preferisco non essere convocato. Lui mi esclude dalla squadra per altri quattro mesi. Ma ci sta tutto, eh. Sono scelte. Peccato che mi abbiano richiamato quando stavano per retrocedere».

Parliamo anche del Cervone Grandi Imprese. Il rigore parato a Papin a San Siro valse una finale di Coppa Italia. «I momenti belli sono stati tanti, con una tifoseria impagabile. Ma quella Roma avrebbe meritato di vincere di più. Dopo la semifinale contro il Milan degli invincibili squalificarono me e Zinetti per frasi irriguardose nel tunnel che portava agli spogliatoi. Ma vi pare? Avevamo vinto. Non successe assolutamente niente. E poi dico: capisco che Cervone è un tipo un po’ così, ma Zinetti non avrebbe mai insultato nessuno. Era un ragazzo educatissimo. Giocando la finale contro il Torino con il portiere della Primavera (Fimiani, nda) è stato inevitabile perdere. Una grande ingiustizia. Comunque la mia stagione più felice è stata quella con Ottavio Bianchi, che pure non mi piaceva perché faceva spesso lo smargiasso, vantandosi di essere riuscito a domare Maradona».

Coppa Italia vinta e finale di Coppa Uefa persa. «Ero appena tornato dall’infortunio ma in Coppa Italia fui determinante. Purtroppo invece in Uefa ci penalizzò l’arbitro: inventò un rigore nella finale d’andata con l’Inter, a San Siro».

La Roma è abituata alle rimonte incompiute. Due anni fa è accaduta una storia simile con il Liverpool. «Già, purtroppo è così. Il problema è che dopo quella semifinale è stato uno sfacelo. Invece di migliorare il gruppo, si è distrutto quanto di buono era stato fatto. Ci sono stati degli sprechi assurdi».

L’ha delusa la gestione Pallotta? «Sono deluso come tutti, soprattutto in considerazione delle aspettative. Speriamo che arrivi Friedkin e che si possa tornare a sognare. Mi auguro soprattutto che il nuovo presidente sappia ricreare un feeling con la gente».

La Roma di adesso a che livello è? «Non è stata costruita male, viste le difficoltà del momento. Petrachi ha fatto un buon lavoro. Ma da portiere, tutti quei soldi per Pau Lopez non li avrei spesi. E’ uno da 6 in pagella, senza infamia e senza lode».

Chi è il migliore in giro? «Lo aveva la Roma: Alisson. Un mostro. Il portiere per eccellenza, senza rivali. Se mi guardo indietro invece, ho amato molto il belga Preud’homme».

Vanno di moda oggi i portieri che impostano l’azione. «Per me il portiere deve parare, più che giocare con i piedi. Altrimenti può diventare pericoloso. Guardate Ederson, quello del City. Calcia come un trequartista ma in porta commette errori imbarazzanti».

Non c’è proprio posto per Cervone in questo calcio? «Io vorrei insegnare ai portieri, perché credo di saperne più di tanti preparatori. Ma non riesco a rientrare. Ho lavorato con Giannini a Gallipoli e poi in Libano ma me ne sono andato. Troppa disorganizzazione, niente soldi. E a Beirut si poteva rischiare la pelle».

Oggi si muore di Covid. «E’ un momento tosto. Io vivo a Latina con la famiglia. Per fortuna al centro-sud il virus ha colpito solo di riflesso, altrimenti sarebbe stata una strage».

E il calcio quando riparte? «Spero presto, perché le partite mancano a tutti. Ma vorrei che tutto ricominciasse in piena sicurezza. E comunque un campionato a porte chiuse sarebbe triste, perché il vero spettacolo negli stadi ormai è fuori dal campo, tra i tifosi. In Serie A non giocano mica più Maradona, Van Basten e Zico…».

Fonte: CdS

 

 

 

 

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