Vigorito: “Il concetto di merito sportivo l’ho vissuto in C, noi siamo già in A”

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L’uomo del vento ha soffiato calma e ragionevolezza sull’intera Serie B che rischiava di perdere la propria linea di orizzonte e di accartocciarsi su discussioni sterili. Perché, mai come ora, deve essere la ragione a prevalere sugli interessi di parte. Ci si salva tutti insieme o si va a fondo. Il discorso, oggettivamente, non riguarda il presidente Oreste Vigorito che come imprenditore dell’eolico regge più di un confronto con club primari della nostra Serie A, una categoria dove il suo Benevento ha già dimostrato di meritare di giocare. Il primato del Benevento non è più contendibile e non c’è niente che potrà cancellare il risultato del campo. Solo l’emergenza sanitaria ha fermato i sanniti. Ma l’esito della stagione è già scritto.

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Presidente Vigorito, sgombriamo il campo da interpretazioni maldestre: Benevento in A?

«Io lavoro per tentare di raccogliere il frutto di un anno di sacrifici. Ma, purtroppo, non dipende dalla nostra volontà. Dico solo che se il Benevento non dovesse ripartire dalla A sarebbe un’ingiustizia enorme e intollerabile».

La priorità resta battere il Covid-19. Ma se la pandemia non dovesse cessare, sarebbe corretto ripartire dal merito sportivo, nel vostro caso fuori discussione?

«Il concetto di merito sportivo l’ho subito per 9 anni in C. Ogni volta che si creavano le condizioni per un ripescaggio, mi dicevano che c’era chi aveva più meriti. Penso al Gallipoli, al Crotone, al Vicenza. Quando avremmo potuto fare un salto di qualità, ci veniva negato. Ora è diverso. Il Benevento è già in A».

 

Nell’ultima Assemblea di Lega, durata due giorni, la sua visione ha prevalso. La vita prima di tutto. Ma poi a cosa bisogna puntare?

«Il calcio si è organizzato in Leghe e aderisce alla Figc. Ci sono interessi comuni, ma una divisione palese. E’ il tempo di superare questa frattura. Serve una concertazione oltre il Consiglio Federale. Auspicherei un tavolo dei presidenti al servizio di un sistema che tenga conto che il calcio, al di là delle categorie, muove le stesse passioni».

 

C’è chi ha lanciato un grido d’allarme sulle conseguenze economiche devastanti della crisi?

«Il nostro sistema è stato colto impreparato dall’emergenza sanitaria. Il calcio è in crisi anche perché raccoglie ricchezza e non la distribuisce in maniera equa. E si tratta di danaro privato. I grandi club attirano investitori, ma da soli non riescono a giocare. I piccoli non possono essere invitati solo a Natale per il panettone. C’è una disparità incredibile tra i 100 milioni di contributi alle grandi e i 10/11 di chi è più piccolo, ma funzionale al sistema. E’ come combattere un match di pugilato senza guantoni contro chi invece li ha. Davide contro Golia vince una sola volta nella storia».

 

Se falliscono le aziende si trascinano dietro le società: cosa fare di concreto per evitare che l’emergenza diventi irreversibile?

«Non capisco perché ci debba essere questa distinzione tra un’azienda calcistica e qualsiasi altra. Il Governo si sta impegnando affinché ci sia una ripresa del nostro sistema produttivo. Un’azienda che fallisce è un mondo che sparisce. Il calcio produce spettacolo e coinvolge tante attività: trasporti, alberghi, abbigliamento sportivo, turismo… Le società calcistiche contribuisco per oltre un miliardo di euro di tasse. Allora perché non bisogna aiutare i club? Solo perché ci sono campioni che guadagnano tanto? Si fallisce indipendentemente dall’attività primaria di un imprenditore. E’ ovvio che se debbo scegliere tra la mia azienda che produce lampade o il calcio dove ci sono perdite certe, sceglierò di produrre lampade. Qualcuna poi la venderò».

 

Ritornare a giocare può aiutare. Ma prima c’è la sicurezza degli atleti da tutelare.

«Anche questo è un assioma che mi lascia basito. Sempre bisogna pensare prima alla sicurezza. Si deve tornare a giocare con un’adesione totale alle norme che ci verrà chiesto di rispettare dalle autorità medico-scientifiche e dal Governo. E’ stato necessario essere drastici nell’affrontare il Covid-19. Ma abbiamo gli strumenti che possono attutire gli effetti della pandemia attraverso presidi sanitari e distanziamento sociale. Insistiamo. Ma non ci si può rassegnare ai domiciliari».

 

Basterà una nuova idoneità all’attività agonistica come prescritto dal protocollo?

«Un comportamento intelligente. Speriamo che ci siano le condizioni per giocare in massima sicurezza».

 

Il calcio ha senso senza tifosi?

«Ce lo saremmo dovuto chiedere anche quando abbiamo venduto tutto alle televisioni. Oggi portare la gente allo stadio è un problema. E non dipende solo dal fatto che le strutture sono obsolete. E’ evidente che lo spettacolo senza la gente non c’è. Il match Benevento-Pescara a porte chiuse è stato una tristezza. Come gli stadi vuoti. Si potrebbe, tuttavia, provare a riempirli parzialmente osservando anche sugli spalti il distanziamento sociale».

 

Ipotizziamo che l’emergenza non venga superata. Secondo lei la teoria della cristallizzazione delle classifiche può essere una via d’uscita nonostante il rischio di contenziosi giudiziari?

«Io credo che ci sarà sempre il rischio di contenziosi. Sia che si cristallizzi sia che non venga riconosciuto il merito sportivo. Ma le poltrone diventano scomode proprio quando c’è da prendersi delle responsabilità. Chi guida il calcio deve riconoscere il risultato del campo e, per colpe non proprie, si è dovuto fermare. Questa assunzione di responsabilità è un’ottima via d’uscita».

 

C’è chi ha avanzato la strampalata idea di annullare i campionati e di bloccare promozioni e retrocessioni. Vigorito come valuta questa bizzarra teoria?

«Perché annullare il campionato? C’è chi avrebbe potuto recuperare punti in classifica, ma anche chi i punti li ha guadagnati già. Io, comunque, ho molta fiducia nella giustizia sportiva. Il merito sportivo è un metro di giudizio infallibile». Fonte: CdS

 

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