Ottavio Bianchi ai microfoni de “Il Mattino”. Classe 1943, guarda la sua Bergamo dalla Città Alta. «Ho già vissuto questa paura di non farcela. Il primo anno a Napoli andai in coma per tre giorni perché non mi avevano curato bene una appendicite che si tramutò in una peritonite perforante. E in quel letto non pensavo mai a cosa avrei fatto una volta che sarei tornato a giocare, ma solo a tornare a vivere alla svelta e a cosa avrei fatto se fossi riuscito a salvarmi». Il tecnico del primo scudetto della storia del Napoli racconta i giorni dell’angoscia. E quei sorrisi che arrivano solo pensando alla sua famiglia e agli anni gioiosi in azzurro.
Bianchi, e in quel letto a cosa pensava? «Dicevo tra me e me: appena esco di qui prendo l’auto, vado sulla cima di una delle montagne delle mie valli e mi butto in un torrente a bere l’acqua fresca. Perché in quei giorni di coma avevo sempre sete. E fu la prima cosa che feci quando mi dimisero dall’ospedale e mi dissero che mi ero salvato».
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