Tornare a Genova dopo quasi vent’anni. Il pericolo era dire addio ai sogni, vederseli portare via dal morbo di Guillain-Barrè…Fabio Pisacane, una vita con la maglia del Cagliari, non può ritenere questa una trasferta come le altre.
Che effetto le fa ripensare al passato? «Sono felice perché avevo sempre detto che per me questo era un punto di arrivo della mia carriera e ora posso ritenermi davvero soddisfatto».
Qualche sassolino ora se lo può pure levare dalle scarpe… «Nessun sassolino, cerco sempre di trasmettere valori positivi e la polemica non è di sicuro uno di questi. Provo una grande soddisfazione però, perché forse qualcuno in passato ha sbagliato a giudicarmi. Nel calcio ci dovrebbero essere meno pregiudizi e più coscienza».
Qualcosa che l’ha ferita in particolare? «Siamo sempre figli di tante situazioni e tutto può succedere. Ho sempre creduto in me stesso e anche nelle situazioni più difficili ho trovato ulteriori stimoli. Oggi gioco in Serie A con lo stesso entusiasmo con il quale giocavo in Serie C perché ci devi credere, sempre. Questa è la benzina che ti fa arrivare ai traguardi che ti sei prefissato».
Emozionato per domenica? «Nessuno deve dimenticare che Genova è la città dove mi hanno dato la vita per la seconda volta. Nel 2001, la mia malattia in certi posti nemmeno la conoscevano».
Un pensiero per qualcuno? «Devo ringraziare il dottor Marco Stellatelli che lavorava al San Paolo di Savona. Lui e lo staff sanitario del Genoa mi diedero la possibilità di curarmi al meglio e io sarà sempre grato a quella città».
Professionalmente cosa le ha lasciato? «Mi sono trovato lì in un momento particolare e ho fatto parte del gruppo con giocatori come Milito e Stellone che vinsero la B e arrivarono a far bene in A. Dopo la retrocessione, però, avevano bisogno di giocatori esperti per risalire e io ho iniziato a finire in giro. Quando inizi così non è facile ma io non mi sono mai arreso e pur faticando il doppio ho sempre pensato di poterci arrivare, sapendo che, però, dovevo dare più degli altri».
Ritroverà un vecchio amico come Criscito… «Siamo partiti insieme da Napoli, dalla stazione di via Garibaldi con una valigia piena di sogni e speranze. Siamo ottimi amici, ogni volta che ci vediamo è come se il tempo si fermasse».
Qual è il segreto di Pisacane? «Se oggi dovessi dire a un giovane come comportarsi, gli direi, senza presunzione, che la medicina migliore che ti fa arrivare ai risultati è il gran lavoro. La seconda sta nelle scelte del tecnico perché quando si è esclusi, bisogna lavorare il doppio senza deprimersi perché chi ha qualità, viene fuori e la possibilità di arrivare c’è sempre».
Veniamo al Cagliari. Vi aspettavate una classifica così? «Sono arrivati buoni giocatori ma penso che a sedici giornate dalla fine era inaspettato pensare di essere al sesto posto. Credo che tutti stiano facendo un buon campionato, e poteva pure essere strepitoso se non avessimo lasciato per strada qualche punto. Ma alla fine, tutto si compensa».
Quale partita vorrebbe rigiocare? «Mi basterebbero quei sette minuti contro la Lazio. A volte ti fossilizzi su tempi o partite, approcci alle gare e cose varie ma sono stati davvero solo sette minuti clamorosi. E sono stati uno snodo importante per noi e per loro. Se avessero perso non so se poi avrebbero centrato quella serie positiva, così come noi abbiamo pagato la mancata vittoria».
Tre pareggi sono sufficienti per lasciarsi alle spalle il periodo negativo? «Abbiamo dimostrato contro il Parma che il Cagliari c’è ed è vivo. Con un po’ di malizia avremmo finito la gara sul calcio d’angolo per non farli avvicinare e invece abbiamo la mentalità di chi cerca sempre di costruire. Loro hanno badato soprattutto a sporcare il nostro gioco, noi abbiamo provato a fare il terzo gol».
Sarà il caso di non perdere tempo per evitare recuperi così lunghi e fatali? «Ogni anno succede qualcosa che caratterizza il campionato. Questa volta va così ma credo sia il bello del calcio. Che Dio benedica quella palla rotonda e che ogni tanto la maledica. Questa è la legge del calcio».
A trentaquattro anni, che sogno nel cassetto ha Fabio Pisacane? «Io chiamo sogno qualsiasi cosa che cerco di raggiungere. Anche vincere la prossima partita è un sogno. Ma se li metti nel cassetto, che sogni sono? La speranza deve sempre essere quella di toccarli con mano».
Siete partiti per la salvezza, e ora siete sesti. «È vero, la scorsa estate il nostro pensiero di partenza era proprio la salvezza. A chi ci vuole bene e soffre per noi mi sento di dire che non dobbiamo mai dimenticare questo. Dobbiamo stare tutti uniti per cullare questo sogno che si chiama Europa, senza buttar via, alla prima difficoltà, tutto quello che abbiamo fatto. La società sta lavorando per grandi risultati nell’anno del centenario e l’ambizione è finire tra le prime dieci, ma ci vuole equilibrio per giocarcela tranquilli ed è quello che ci sta mancando ora».
Cosa vi manca per competere con le altre in lotta per un posto in Europa? «Un pizzico di malizia in più. La squadra ha grandi risorse e ora con Pereiro e Paloschi possiamo fare ancora meglio».
Cosa farà da grande? «Spero di poter giocare ancora quattro o cinque anni e poi si vedrà. Ho tante idee ma sono come un bambino che cambia idea ogni giorno. Per ora mi interessa solo giocare fino all’ultima goccia di sudore».
Quanto le ha fatto piacere vedere tanto interesse attorno a lei? «Devo ringraziare il Cagliari che mi ha dato la possibilità di giocare in A e questo è un bel palcoscenico che da soddisfazioni. Ma come ho sempre detto, anche se certe chiacchiere fanno piacere, io resterò a Cagliari fino a quando mi vorranno. Qualche interessamento c’è stato ma ho sempre dato la parola al presidente Giulini che mi ha valorizzato. E di sicuro anche i tifosi non si libereranno facilmente di me perché quando smetterò verrò a vivere qui dove ho già comprato casa».
Completi la frase: il Cagliari va in Europa se…«Se noi calciatori facciamo il nostro dovere al cento per cento e non pecchiamo come è accaduto in alcune partite e se tutto intorno c’è equilibrio. Dobbiamo essere un solo blocco, così come lo siamo stati quando ci dovevamo salvare. Questo è un sogno e noi vogliamo coltivarlo fino alla fine».
Fonte: CdS