Cristiana Capotondi (V. Pres Lega Pro): “Entro due anni, il sistema di rilascio delle licenze nazionali prevederà la presenza di una selezione under 17 femminile”
Un anno (e due mesi, quasi) da vice presidente. Non sono stati tempi facili. Oggi ci si presenta al 2020 portando in dote un blocco al campionato, quello che ha tenuto a casa le 60 squadre di Serie C nel fine settimana del 22 dicembre scorso. Cristiana Capotondi, intervistata dal Corriere dello Sport, ricorda la sorpresa (eufemismo) e i commenti scatenati dalla notizia del suo incarico, nel novembre 2018? «Sì, e le confido che tuttora capisco lo scetticismo iniziale. Probabilmente poi alimentato anche dalla mia scarsa comunicazione: è stata una scelta, volevo e voglio ancora imparare».
Un approccio a toni bassi, anche per scansare subito i sospetti insinuati da chi pensava che lei avrebbe voluto far leva sulla notorietà consolidata. «Mi sono dedicata al lavoro perché il mondo di Lega Pro è bello come una cosa che ti prende di pancia. Sei a contatto con realtà che vivono il calcio nel modo migliore: emozionante, pieno, coinvolgente. Se vuole un parere di sintesi le dico che sì, sono assolutamente soddisfatta. E spero lo siano, di me, le persone che mi hanno scelta, quelle con le quali ho lavorato e per le quali ho lavorato in questi tredici mesi da vice presidente».
E’ appena finito un anno ed è iniziato il nuovo. Con un blocco, non sciopero, a cavallo dei due gironi. «Attraverso i nostri club andiamo a riempire un vuoto che si è aperto nel corso degli ultimi anni quando la strada ha ripreso a portarsi via i ragazzi che prima avevano occupazioni più sane, per esempio grazie agli oratori. Offriamo quindi una formazione con il calcio, un’opera sociale, educativa che è nostra ragione fondante. E’ quel che ci fa sentire utili, alla società civile prima che al calcio. Se non possiamo svolgere più questo compito, viene meno la stessa ragion d’essere di questa Lega. Ed è per questo, soltanto per questo, che si chiede un intervento legislativo con la defiscalizzazione. Non per dare più soldi in tasca ai nostri presidenti».
Un anno e passa dopo, che sintesi e prospettiva traccia del suo lavoro in Lega Pro? «Se guardo a quanto fatto mi sono dedicata diverse cose. Sottolineo la digitalizzazione e i giovani. Buttate così sembrano quasi anonime, invece sono strategiche».
Una per volta, digitalizzazione. «Mettiamo sul tavolo cosa è la Lega Pro: sessanta squadre, realtà differenti fra loro in modo anche profondo per mille ragioni. Bene, abbiamo bisogno di costruire un involucro digitale entro il quale tutte possono muoversi, essere visibili, comunicative, perché il messaggio complessivo che trasmettono può – deve – avere un valore. Industriale, economico. E’ un passaggio propedeutico alla messa in parallelo col mondo del marketing: ne abbiamo bisogno perché le risorse della legge Melandri non ci bastano. Siamo sessanta club, diciamo 59 escludendo la Juve che fa caso a sé, e a ogni società arrivano poche risorse per risolvere il tema della sostenibilità economica».
Giovani. «E’ il secondo step che ci caratterizza. Siamo la base del calcio italiano professionistico, non possiamo non essere protagonisti dei primi mattoni di una carriera di un calciatore. Lo so, ci verrà obiettato che avendo abolito i limiti all’uso degli over potremmo aver ridotto gli spazi. Ma abbiamo anche introdotto forti premi destinati a chi fa giocare i giovani. E’ “lavoro sociale di formazione”: perché, allo stesso tempo, le nostre società occupano spesso spazi che come detto un tempo erano tipici degli oratori, aggregando quindi, non soltanto dando un pallone da calciare».
E si passa alle infrastrutture. «Il problema è vasto. Se non hai posto dove far giocare una prima squadra, puoi permetterti di svolgere il tuo ruolo a livello giovanile, o nel nascente sviluppo femminile? In C i presidenti mettono soldi propri per tenere in vita la squadra. Allora, la defiscalizzazione è strategica: speriamo che il Parlamento comprenda che per i nostri club è un modo per poter continuare a fare il loro lavoro di educatori, investendo sul settore giovanile e sulle infrastrutture, vera emergenza in Italia».
Una donna vice presidente in una Lega molto femminile. «Nei nostri club abbiamo donne presidenti, vice presidenti, amministratori delegati. Abbiamo arbitri, assistenti donne. Comunicazione con tante risorse femminili. Siamo la Lega di base, era ovvio che in questo modo e con questi numeri si cominciasse da noi. Ma andiamo oltre. Abbiamo previsto come norma vincolante per i nostri club – tranne i neopromossi – un lavoro specifico per le ragazze under 12 e under 15. Entro due anni, il sistema di rilascio delle licenze nazionali prevederà la presenza di una selezione under 17 femminile per far parte della nostra famiglia. Insomma, noi ci siamo. Poi è chiaro, i passi in avanti per esempio sul professionismo femminile, aiutano e danno una potente spinta. A noi compete lavorare per la base e lo stiamo facendo».
Da un pianeta nel caos, come un anno fa, siete diventati attrattivi per imprenditori di elevato livello: i De Laurentiis a Bari e i Rosso a Vicenza significano qualcosa. «E’ un motivo di orgoglio. Anche perché portando nomi, sistemi e città importanti dentro la Lega Pro, si contribuisce a sviluppare i nostri programmi, giovani, strutture, donne. E ci portano numeri di passione, Vicenza ha qualcosa come diecimila abbonati».
I primi quattordici mesi li archivia positivamente. «Sì. Io qui ovviamente lavoro gratuitamente, ci mancherebbe, ma le gratificazioni sono immense. Vedere un calciatore del Padova che allaccia le scarpe a un raccattapalle o sempre un raccattapalle che allunga la mano per stringerla a un giocatore ospite seduto contro il palo di una porta a fine gara dopo aver perso, possono sembrare piccole cose ma hanno un valore immenso. Perfettamente integrato nell’idea di calcio che abbiamo in Lega Pro. È stato un anno meraviglioso, ma il lavoro è appena cominciato».
La Redazione