L’arbitro vomerese Maresca: “Porto Napoli nel mondo. Ai calciatori non perdono una cosa!”
Sessanta anni dopo Gennaro Marchese, un arbitro della sezione Aia di Napoli diventa internazionale: è Fabio Maresca, 38 anni, vomerese, vigile del fuoco presso il comando provinciale di Napoli. Mariarosaria, la sua compagna, lo ha reso papà di Carlo Ferdinando, un anno e mezzo. Domenica sarà quarto uomo nella finale di Supercoppa a Riad.
Maresca, la cosa più difficile da spegnere in campo?
«I propri sentimenti, il proprio impeto, la gestione delle proprie emozioni, bisogna imparare a non reagire d’istinto ma ad agire consapevolmente».
Cosa proprio non perdona a un calciatore?
«La bugia. Quando negano una cosa evidente».
Chi è il primo che le dice se ha sbagliato?
«Lo capisco da solo. E poi mi interrogo sul perché ho commesso quell’errore e penso a come fare per evitarlo in futuro».
Come le è venuto in mente di fare l’arbitro?
«A 15 anni giocavo da attaccante ed ebbi l’opportunità di arbitrare una partita amichevole, non ho più smesso».
Un arbitro è solo come un tennista?
«Di recente Boban mi ha fatto riflettere parlando di Federer, uno dei miei sportivi preferiti: ha detto che Roger gli ha reso la vita migliore. Ed è successa anche a me la stessa cosa, perché il tennis è uno spettacolo straordinario che paragono alla nostra attività. Un punto vale come un altro in termini di punteggio ma ogni quindici ha un peso diverso. Per noi è la stessa cosa: ad ogni decisione, fallo o non fallo, giallo o non giallo, rigore o no è come se fossimo a un bivio apparentemente uguale a un altro ma in una partita un conto è commettere un errore in area di rigore un altro è in mezzo al campo, per esempio».
Quest’ anno in 8 presenze in serie A è ricorso al Var solo in una partita. Si è meno tennisti con la tecnologia?
«È l’ultimo baluardo a difesa della nostra prestazione. È il portiere della squadra arbitrale, nessuno vuole uscire dal campo col peso di aver condizionato un risultato».
Si rischia di avere due partite: quella che vede lei e l’altra vivisezionata dalle telecamere?
«La vera sfida è questa. E ci prepariamo per vincerla. Penso all’ultima finale di Libertadores, quattro uomini che provano a vedere in campo ciò che può essere rivisto al monitor attraverso 36 telecamere».
Per arbitrare bene bisogna conoscere la tattica di gioco di tutte le squadre?
«Non solo il sistema di gioco, ma anche le tattiche adottate in occasione di calci da fermo e poi ognuno di noi conosce le caratteristiche tecniche di ogni singolo calciatore della serie A. Magari non mi ricordo il nome di battesimo di un giocatore, ma posso dire di chiunque se calcia col destro, col sinistro o con tutti e due i piedi».
Come ha fatto Di Bello alla prima di Gattuso sabato?
«Come feci io l’anno scorso prima dell’esordio di Ranieri sulla panchina della Roma con l’Empoli: andai a rivedere come giocava il Fulham».
Chi è l’arbitro da cui lei ha imparato di più?
«Tanti, ma su tutti Paolo Gregoroni, il mio mentore, Stefano Farina, Nicola Rizzoli. Il primo venne a vedermi durante una gara Allievi all’Italsider e mi disse hai talento ma la strada sarà lunga. Da Farina ho imparato a fidarmi di me stesso».
Cosa fece?
«Ero in serie C al terzo anno, dopo una pessima prestazione a Latina mi chiamò e invece di rimproverarmi mi disse che la domenica successiva avrei diretto il derby Benevento- Avellino. Invece di punirmi mi diede fiducia: vide in me cose che ancora io non avevo visto».
E come andò a Benevento?
«Dopo 20 minuti avevo già concesso due rigori agli irpini per due falli di mano. Sbagliai poco quel giorno. E capii che quella era la strada giusta».
Con Rizzoli e Nicchi come va?
«Con Rizzoli lavoro da 3 anni, precedentemente siamo stati compagni di stanza a Coverciano, mi ha stimolato a mettermi davvero in discussione e oggi raccogliamo i frutti di questo lavoro. Ma dal punto di vista associativo devo ringraziare il presidente Nicchi e il suo vice Pisacreta che hanno sempre creduto nelle mie possibilità».
Avere buoni rapporti con allenatori e giocatori…
«Accetto e propongo il dialogo quando occorre. Non mi piace il sorrisino ironico dopo una mia decisione. In fondo noi arbitri siamo un po’ permalosi».
Un vomerese internazionale è un grande orgoglio?
«Certo che lo è. Lo è per tutta la mia famiglia, per il Cra Campania di Virginio Quartuccio e per la sezione presieduta da Nicola Cavaccini insieme a Ciro (Carbone assistente internazionale, ndr) abbiamo dimostrato che anche nella nostra città si possono raggiungere grandi traguardi. Io mantengo i piedi per terra. Prima di Cagliari-Lazio ho scritto su un foglio di carta, il mio campo delle emozioni che devo continuare a sentirmi l’arbitro che sta scalando la montagna».
Che consiglio dà ai giovani arbitri campani?
«Le partite devono scivolare via il più possibile perché i protagonisti sono i calciatori».
Fonte: Il Mattino