Marolda: “A questo Napoli manca la voce del tifoso”

0

Il pensiero di Ciccio Marolda espresso sul Corriere dello Sport:

Factory della Comunicazione

“Sette luglio del 2001. Un corteo lungo quattro chilometri e sette-ottomila anime ferite marciò sulla città per il pallone. Per il Napoli. Per quel povero Napoli avvilito dalla fresca retrocessione in serie B e condannato a quell’umiliazione da lotte intestine e tanti, tanti errori. In campo, ma non solo. Era, quello, il Napoli del presidente Corbelli e dell’amministratore delegato Ferlaino che si dividevano la proprietà d’un club che senza saperlo già stava scivolando verso il fallimento. Ebbene, quel corteo di bandiere e cori urlati dalle sigle più estreme dello stadio, sembrò un’esagerazione, una mobilitazione dettata più dalla volontà di mostrare nell’immediato denti e muscoli a quella proprietà perdente, che un legittimo e lungimirante allarme. Sembrò così, allora. Quasi vent’anni dopo, però, in quella protesta assai civile e, sia chiaro, senza nulla amnistiare ad alcune di quelle sigle per comportamenti e azioni a volte ben al di là del lecito e il legale, vi si può trovare anche qualcosa di nobile e di giusto. Perché quel corteo che sfilò da Garibaldi a cavallo sino al Municipio portò in piazza l’anima del tifo. Un antico e consolidato senso di partecipazione, identificazione e appartenenza. Un’anima viva mai rassegnata a quell’ingloriosa fine. Che è quello che poi, generalizzando, è ovvio, fa la differenza tra il “tifoso” di ieri e lo “spettatore” d’oggi. Certo, oggi è tutt’altra cosa. Oggi la proprietà è una e non è perdente; oggi il rammarico non è la retrocessione, bensì l’addio al sogno scudetto; oggi il rischio non è il fallimento, ma l’uscita dalla Champions. Oggi vola alto, il club. E allora, nonostante il refolo di fiducia regalato dal pari di Milano, dov’è che perde il Napoli del presente rispetto a quello di una ventina d’anni fa? Perde nel tifo. Perde nella partecipazione della gente: quella dello stadio e quella già da tempo più lontana e sempre meno affezionata. Questo vuol dire che per diventare europeo, internazionale, globale, il Napoli ha venduto la propria anima al diavolo o chissà a che cosa? Se così fosse, sì che sarebbe un altro fallimento. Per carità, nessuna nostalgia di cortei o piazze occupate. Perché mai? Però se per evitare il peggio in questa disastrosa faccenda da “uno contro tutti” e “tutti contro uno” – visto che nessuno sa o vuole farlo – si facesse urbanamente e produttivamente sentire la città del tifo (se c’è ancora, si capisce), beh, non sarebbe male. Anzi“. Fonte: CdS

Potrebbe piacerti anche
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

For security, use of Google's reCAPTCHA service is required which is subject to the Google Privacy Policy and Terms of Use.